Massimo Donà e la filosofia dei Beatles
Intro

Il filosofo e jazzista Massimo Donà ha recentemente pubblicato, per la collana “Musica contemporanea” di Mimesis Edizioni, il saggio La filosofia dei Beatles. Si tratta di un intrigante viaggio tra i testi, la musica, le provocazioni e le rivoluzioni che hanno dato vita a una vera e propria filosofia dei quattro leggendari musicisti di Liverpool. Come sempre gentilissimo e disponibile a parlare del suo lavoro e delle sue passioni, Massimo Donà ci ha concesso l’intervista che qui riportiamo.

Francesco Nunziata

Oltre a essere uno dei più stimati filosofi italiani, sei anche un musicista jazz, con all’attivo ben sette dischi, il primo dei quali, New Rhapsody in Blue, risale al 2002, mentre l’ultimo in ordine di tempo, Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle mani di Dio, risale a due anni fa. Come ti sei avvicinato a questo tipo di musica? In che modo la tua avventura musicale ha influenzato e influenza la tua ricerca filosofica?

Massimo Donà

Mi sono avvicinato al jazz grazie a mio fratello Claudio (critico musicale e docente presso il Conservatorio di Rovigo). Ricordo ancora quando, abituato ad ascoltare il rock e il blues (allora ero chitarrista in erba, con un mio trio, ‘alla Cream’, denominato “Magic Fluid”), incontrai la musica afro-americana; ricordo ancora quando mio fratello (che ha tre anni più di me) portò a casa i primi LP di questa ‘strana’ musica chiamata jazz. Fu un vero shock! Dapprincipio non ci capivo nulla; però c’era qualcosa che mi affascinava… come se qualcosa di importante mi stesse reclamando dal quel caos sonoro! Ho cominciato da John Coltrane, Miles Davis e Ornette Coleman, ma poi ho subito ripercorso tutte le tappe, dal New Orleans allo Swing, dal Be Bop al Rock-Jazz, sino al Free più spinto. Erano gli anni del Liceo; fu allora che cominciai a studiare privatamente armonia, solfeggio e tromba. La filosofia, o meglio la ‘passione filosofica’ era ancora di là da venire. Certo, dopo l’incontro con Emanuele Severino, all’Università, e la conseguente scelta di fare sul serio con la filosofia, mi si presentò un problema abbastanza serio: dedicarmi alla musica o alla filosofia? In verità, con gli anni ho capito che in fondo si trattava di due esperienze che, per quanto diverse (almeno, in rapporto al linguaggio utilizzato), costituivano due volti di una medesima avventura. In fondo mi sono accorto di scrivere come se stessi improvvisando durante un concerto e di improvvisare come se stessi scrivendo un saggio su Platone. La ‘cosa’ è la stessa; si tratta di cercare relazioni, di istituire nessi, di rendere consonanti note anche molto diverse e concetti molto lontani. Si tratta di sfidare il noto per cercare di far emergere l’ignoto e consentirgli di proiettare nuova luce su una spesso banale e prevedibile quotidianità.

Francesco Nunziata

Una volta hai detto che la filosofia deve essere intesa come “la musica più alta”. Vuoi spiegarci cosa intendi di preciso?

Massimo Donà

Si tratta di quel che, molto probabilmente, intendeva già Socrate; il quale, in piena conformità con il precedente pitagorico (si tenga presente che il Socrate di cui parliamo è quello ricostruito dalle pagine platoniche), era convinto che, oltre alle consonanze e alle dissonanze percepibili tramite l’udito, vi fossero altre e ben più importanti consonanze e dissonanze: quelle metafisiche. Che il nostro orecchio non è in grado di percepire e riconoscere; ma che proprio il logos filosofico si sforza di cogliere, cercando di restituire il ritmo originariamente dialettico delle relazioni da esse incarnate. Parlare di consonanze e dissonanze significa d’altro canto parlare di relazioni; ma chi può dire “le relazioni” se non il logos filosofico (logos viene da legein, ossia connettere, relazionare)? Che, soprattutto, può dire le relazioni cosmiche; ossia, quelle che governano l’intero universo; il cui suono non riusciamo a percepire solo perché inscritti da sempre nell’orizzonte disegnato dalle loro risonanze.

Francesco Nunziata

Recentemente è uscito La filosofia dei Beatles, in cui rifletti sulle implicazioni filosofiche legate al percorso musicale dei quattro baronetti di Liverpool. Com’è nata l’idea del libro?

Massimo Donà

L’idea di questo libro dedicato ai Beatles – con il quale ho cercato di mostrare quale filosofia sia realmente sottesa alla straordinaria avventura disegnata nel giro di pochi anni dai Fab Four – ha a che fare con un’antica passione che viene dagli anni della mia adolescenza… quando appunto i Beatles stavano portando a termine la loro parabola creativa (era il 1968 circa). Il fatto è che ogni grande espressione artistica – in questo caso musicale – porta con sé un grande pensiero. Un pensiero che viene tradotto in immagini o in suoni; ma che spetta proprio al filosofo far emergere e riconoscere tra le pieghe di un’opera che non sempre sa di essere impregnata di filosofia.

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Francesco Nunziata

In che senso, come sostieni nel libro, il vero corrispettivo della pop-art fu la musica pop così come fu ideata e radicalmente sviluppata dai Beatles?

Massimo Donà

Nel senso che in entrambi i casi l’artista utilizza materiale popolare (tratto dalla pubblicità, dalla musica già esistente, dalla televisione, dai beni di consumo, dai giornali e dai fumetti) e lo trasfigura facendolo diventare “grande arte”. Da cui un fenomeno estetico che non solo è importante in quanto tale, ma soprattutto riesce a coinvolgere masse di persone come mai era accaduto prima. E questo è vero ancor più per la musica pop, inventata dai Beatles, che per la Pop Art – rimasta, tutto sommato, ancora una espressione culturale abbastanza elitaria. Con Warhol, con Lennon, con McCartney e con Roy Lichtenstein, sarebbe nato un modo di essere artisti non più inscrivibile all’interno di un genere preciso (come l’impressionismo o il cubismo in pittura, oppure il folk o il rock&roll in ambito musicale); perché il “pop” accoglie qualsiasi forma al proprio interno, e la fa diventare espressione di un nuovo modo di rapportarsi al mondo – quello che definiamo per l’appunto “pop”. Che non indica uno stile, un modo di suonare, un ‘ismo’; ma una semplice disposizione alla contaminazione, alla differenza e soprattutto ad un nuovo modo di ‘essere’.

 

Francesco Nunziata

All’interno del libro, sono presenti anche alcuni tuoi disegni raffiguranti Lennon, McCartney, Harrison e Starr. Non sapevo di questa tua passione per il disegno…

Massimo Donà

Sì, anche questa passione ha origini, per dir così, antiche. Dopo le medie avevo iniziato a frequentare il liceo artistico e poi stavo per iscrivermi ad architettura. Diciamo che prima ancora di appassionarmi alla musica e alla filosofia, la mia passione fondamentale (e abbastanza viscerale) era di natura visiva; passione per il disegno e la pittura, insomma….

 

Francesco Nunziata

Quando, nel 1967, i Beatles pubblicarono il loro disco più famoso, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, avevi circa dieci anni. Cosa ricordi di quell’epoca e, in generale, dei “meravigliosi anni Sessanta”?

Massimo Donà

Ricordo poco di quel disco; ricordo molto meglio la produzione successiva; dal mitico White Album ad Abbey Road.  Nel 1967 avevo solo dieci anni; ma già nel Sessantotto le mie orecchie sarebbero state folgorate dal nuovo sound che veniva dall’Inghilterra e dalla Swinging London. Nel 1967, probabilmente, ascoltavo ancora i cosiddetti complessi italiani e cantanti come Little Tony e Bobby Solo.

Francesco Nunziata

Qual è il tuo rapporto con la musica “rock”?

Massimo Donà

Un rapporto intenso e viscerale, come dicevo prima; infatti, ho iniziato la mia avventura musicale come chitarrista rock. Ascoltavo e amavo Eric Clapton, Jimi Hendrix, ma anche Jimmy Page, Keith Richards, Mick Taylor e Jeff Beck. Ascoltavo tutti i più importanti gruppi rock dell’epoca; e imparavo dai loro Lp. Amavo Alvin Lee dei Ten Years After, ma anche Pete Townshend. Amavo da pazzi i Traffic (Steve Winwood), i Cream, i Blind Faith e i Chicago, ma amavo anche John Mayall e i Rolling Stones (oltre ai Beatles, evidentemente). E anche nella musica che suono con il mio gruppo attuale rimane una forte influenza di questi trascorsi elettrici.

Francesco Nunziata

Nel tuo Filosofia della musica (Bompiani, 2006) scrivi: “Il rock era, nello stesso tempo, attesa della fine ed ebbrezza di un nuovo e sempre incipiente inizio. Coesistenza di opposti.” Vorrei che tu approfondissi questo passaggio.

Massimo Donà

Sì, scrivevo questo perché sono convinto che caratteristica fondamentale del rock sia quella di esasperare a tal punto la tensione creativa (anche a livello timbrico e di volume) da far sembrare che ci si stia davvero avvicinando al punto di non ritorno, vale a dire alla fine (di tutte le cose?); il rock esaspera la ripetizione dei riff, la linearità e la ripetitività del ritmo, ma anche l’uso della voce (pensa al cantante dei Led Zeppelin o a quello dei Deep Purple, ma pensa anche a Jimi Hendrix e a Roger Daltrey), conducendola ai limiti dell’intonazione. Ma tanta violenza e tanta tensione creativa sono anche il sigillo di una fine che vuole disperatamente farsi inizio; inizio di qualcosa di inedito, di mai sentito, di mai visto. Sì, perché solo all’inizio non c’è ancora il peso del passato e l’energia è ancora tutta da spendere. Per questo, credo, il rock comprende e custodisce esperienze opposte e le fa vivere in forma quanto mai esaltante; come mai la vita quotidiana potrà consentirci di fare.

Francesco Nunziata

L’insegnamento musicale nelle scuole italiane è sempre stato poco incoraggiato e, purtroppo, ancora oggi si risolve troppo spesso nella mera applicazione di stantie procedure didattiche. In che modo, a tuo avviso, potrebbe essere rilanciato?

Massimo Donà

La questione è di una gravità abissale; bisognerebbe riformare completamente la scuola italiana. La musica dovrebbe diventare una materia fondamentale, al pari della matematica e dell’italiano; altrimenti vedo un futuro abbastanza triste per le future generazioni. Purtroppo chi ha ruoli decisionali nel campo dell’amministrazione dello stato, e dovrebbe decidere, magari da Ministro, quel che va cambiato nel mondo della scuola, quasi mai è persona competente. E’ incredibile che in un Paese come il nostro, reso grande da artisti e musicisti come a pochi altri Paesi è accaduto, le arti e la musica siano tenute in così scarsa considerazione. Non so davvero chi ci potrà salvare!

Francesco Nunziata

Hive Music è anche una scuola di musica. Cosa diresti a chi si appresta a studiare uno strumento musicale?

Massimo Donà

Direi di ascoltare tanta musica e di tutti i generi; ma direi di studiare anche altre materie, di farsi una cultura. Direi di cercare di fare della propria esperienza di musicista un modo per comprendere il tempo presente; sì da poterlo vivere e attraversare sulla base di una robusta conoscenza del passato. Direi di suonare molto con gli altri; di sperimentare vari generi musicali prima di dedicarsi a quello prediletto.

Francesco Nunziata

Nel tuo saggio Il tempo della verità (che, al pari de L’aporia del fondamento, è senza dubbio uno dei tuoi lavori più importanti, oltre che uno testi filosofici più appassionanti degli ultimi vent’anni), sostieni che la verità non ha altro volto che quello dell’errore e dell’erranza. Vuoi provare a spiegare brevemente il senso di questa tua affermazione? E ancora: dove si collocano, in questo discorso, la musica e l’arte in genere?

Massimo Donà

In breve, potrei dire che proprio in ragione della veridicità del vero, o meglio della sua incontrovertibilità, si dovrebbe riconoscere che il vero parla solo nelle parole di una inconsumabile erranza. Sì, perché se la verità è incontrovertibile, ossia se non è possibile qualcosa che contrasti la potenza del vero, allora sarà proprio la verità (che dice il determinarsi di tutto; il suo identificarsi distinguendosi dal proprio altro) a mancare del proprio altro; quello che, solo, avrebbe potuto determinarla come verità (e distinguerla dall’errore). Ma se la verità non si distingue dall’errore (essendo quest’ultimo impossibile, proprio per la veridicità o incontrovertibilità del vero), allora non è vero che tutto si distingue – come vorrebbe la verità (che dice appunto il determinarsi/distinguersi di tutto). Almeno la verità, infatti, non si distingue. Ecco in che senso è proprio la verità a smentire il dettato della verità medesima. L’errore sarà dunque proprio quello conseguente l’incontrovertibilità del vero; l’errore commesso proprio dalla verità, commesso dalla verità proprio in virtù del suo assoluto trionfo (quello consistente nel suo non avere errori che ne minaccino la solidità). Ad errare, insomma, non è qualcosa d’altro dalla verità (l’errore come altro dalla verità), ma la verità medesima; che erra proprio in virtù della sua incontrovertibilità. Che è falsa, cioè, proprio in quanto vera. Ecco, di tutto questo è prova la musica. Che si afferma negandosi (ogni volta che suoniamo, le note appena suonate non sono più); che si afferma palesandosi come suono passato e suono futuro (quello che il suono appena eseguito fa sempre presagire e attendere). Non c’è altro presente, nella musica, che quello vocato a dire il non esser più delle note appena suonate e il non esser ancora delle note che attendo dopo aver suonato quelle che non sono più. Proprio l’arte, e soprattutto la musica, dunque, vivono e ci fanno vivere il mistero del tempo come luogo privilegiato di un’esperienza dell’essere da parte del non essere. Sì, perché ad essere è sempre e solamente il non essere; come ad essere vero è sempre e solamente l’errore. Per questo è solo l’arte che ci fa vivere il tempo liberandoci dalla superstizione che vorrebbe farci credere che le cose passino dal presente al passato e dal presente al futuro. Nessuna cosa che è, e che non era, e allo stesso modo nessuna cosa che è e che non sarà più. Le cose, dunque, sono solo nel loro non essere quello che sono. Ce lo mostra la musica, che è sempre presente nella sua irredimibile parzialità; nel suo non essere mai tutta presente (se non come memoria e come attesa), essa ci entusiasma più di un’opera che potremmo definire compiuta e concreta.

Certo, la questione meriterebbe ulteriori approfondimenti, ma mi fermo qui.

Francesco Nunziata

Cinque libri e cinque dischi di cui non puoi fare a meno (e spiegaci anche perché!)

Massimo Donà

Il Parmenide di Platone, la Metafisica di Aristotele, La Scienza della logica di Hegel e tutta l’opera di Shakespeare; perché sono capolavori senza i quali l’Occidente non sarebbe mai diventato quello che è. Ossia (piaccia o non piaccia): una grande realtà. Per quanto riguarda i dischi, invece, direi: Kind of Blue di Miles Davis, The shape of jazz to come di Ornette Coleman, Blues from Laurel Canyon di John Mayall, John Barleycorn dei Traffic e il IV movimento della Quinta Sinfonia di Mahler. Ma fammi aggiungere anche Sgt. Pepper dei Beatles ! Almeno questo (fermo restando che dovremmo nominare anche Revolver, il White Album e Abbey Road). Si tratta di perle che contengono in sé una buona dose di quella che mi piace intendere come ‘essenza della musica’. Ossia: equilibrio, tensione, consonanza, dissonanza, libertà e sapienza costruttiva. Si tratta di opere che contengono tutte queste caratteristiche in misura particolarmente significativa.

Francesco Nunziata

Anche Emanuele Severino, il tuo maestro, ha una profonda passione per la musica, soprattutto per quella classica. Nel 1946, quando aveva circa diciotto anni, fu addirittura sul punto di intraprendere la carriera di compositore e di pianista. Scrisse anche una suite “in stile moderno con contaminazioni classiche”, che proprio recentemente è stata registrata e resa pubblica con il titolo di Zirkus Suite. Ti va di raccontarci del tuo rapporto con lui? Quando e in che circostanza lo hai conosciuto?

Massimo Donà

Beh, devo dire, con orgoglio, che la Suite a cui fai riferimento nella tua domanda è stata finalmente registrata grazie alla mia testardaggine. Da anni sognavo di riuscire a realizzare questa registrazione. Non è stato facile; ma poi alla fine, grazie all’aiuto di un caro amico e grande pianista, Giuseppe Fausto Modugno, sono riuscito a trovare la soluzione: far registrare l’opera dagli allievi del Conservatorio di Milano; istituzione che, grazie all’intelligenza della sua direttrice, Cristina Frosini, e alla passione e alla competenza del Maestro Bombonati, ha deciso di far diventare la registrazione di Zirkus Suite un progetto del Conservatorio medesimo. Così, nell’aprile del 2018 abbiamo presentato a Milano il cofanetto pubblicato da Mimesis (che comprende un disco e un libro, in cui è contenuto anche un mio testo, oltre ad uno di Emanuele Severino). La presentazione è stata un grande successo; anche perché si trattava della prima esecuzione live di questa composizione del Severino diciottenne. Ci tenevo a portare a termine questa sfida soprattutto per il debito che sento di dover ancora saldare nei confronti di quello che è stato il “mio” Maestro; colui che mi ha fatto decidere di fare filosofia. Anzi di fare, della filosofia, la mia vita. Un Maestro che ho conosciuto al secondo anno di Università, quando sono entrato in aula per seguire la prima lezione del suo corso (eravamo nella seconda metà degli anni Settanta); fu allora che capii che quella sarebbe stata la mia strada.  Poi mi sono laureato con quello stesso Maestro; e ora ho l’onore di essergli collega al San Raffaele di Milano. A Severino sarò eternamente riconoscente per quello che mi ha insegnato; e che da nessun’altro avrei potuto imparare con altrettanta efficacia. Per quanto anche altri grandi Maestri mi avrebbero supportato in seguito: penso anzitutto a Massimo Cacciari e a Vincenzo Vitiello.

Francesco Nunziata

Dove sta andando il mondo?

Massimo Donà

Magari lo sapessi ! Anzi… guai se lo sapessi, ché nulla avrebbe più senso nella mia vita. Cosa vi è di bello nella vita, infatti, se non l’incognita a cui siamo incessantemente affidati… in quanto affidati all’intrascendibile non-essere di quel che ora (in ogni ora) non è ancora quel che è?

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