Ovvero la fine della speculazione fine a se stessa come mezzo per migliorare la società.
Forse viviamo in un’epoca in cui l’arte conta sempre di meno. Così come Marcuse diceva che il controllo della società sull’individuo non è mai stato così forte come oggi, nello stesso modo possiamo dire che l’azione della società contro l’arte non è mai stata pregnante come oggi. Forse non c’è stata nessuna epoca storica in cui l’arte sia contata così poco. Quando parlo di arte parlo di speculazione intellettuale e non di consumo immediato, cioè tutto ciò che è complesso e fa ragionare, ma che non sia immediatamente applicabile in altri contesti. Siccome viviamo in una società in cui bisogna fare profitto su tutto, l’arte non può facilmente piegarsi alle regole del mercato perché richiede una preparazione per poterla permeare. Il commercio, invece, si basa sull’immediatezza. L’arte non cerca l’immediatezza, perché altrimenti negherebbe se stessa e non sarebbe più arte. Nonostante la pregnanza di queste argomentazioni, sarebbe opportuno passare in rassegna le principali obiezioni in merito alla questione della morte dell’arte.
Tu parli davvero della morte dell’arte. Ma l’arte è più viva che mai: concerti, piazze gremite di artisti e giovani talentuosi.
Quando parlo di morte dell’arte, non parlo della morte dell’arte in sé per sé ma del suo ruolo sociale. Oggi l’artista non è più considerato utile alla società, ma non come nell’Ottocento in cui si vedeva schiacciato dalla società delle macchine. Oggi il problema è diverso: la massa non comprende più a che cosa serve la speculazione fine a se stessa, perché le istituzioni promuovono la tecnicizzazione e settorializzazione del sapere, che sono funzionali al commercio.
Se l’artista non contribuisce al benessere materiale della società, non è utile.
Ti sbagli invece. Oggi viviamo in una società atomizzata in cui l’individuo è costretto a lavorare molto più di prima. Dedicarsi all’arte e poter condividerla aiuta a vivere la vita più intensamente e a trasfigurare il dolore, le gioie e le frenesie dell’animo di qualunque individuo.
Quando parli di morte dell’arte, ti sbagli. Oggi c’è più accesso all’arte e alla cultura grazie alle nuove tecnologie rispetto a prima: i fruitori dell’arte e gli artisti, che prima erano pochi, sono aumentati a dismisura. Per quanto motivo l’artista non ha più visibilità.
Ti sbagli, secondo me. E’ vero che in precedenza erano di meno le persone in grado di accedere all’arte, ma è anche vero che – quando vi accedevi – eri guidato da grandi esperti del settore. Oggi, al contrario, l’enorme quantità di dati disorienta le masse, che hanno in realtà più facile accesso a contenuti di cattiva qualità: spesso i critici e gli esperti non hanno visibilità e sono offuscati nella loro missione di selezionare le opere più originali e innovative. Inoltre nel dibattito contemporaneo, influenzato dai mass media, la figura dell’artista lascia il posto a quella dell’animatore, del presentatore e dell’intrattenitore, che può facilmente reperire pubblico a cui vendere la propria banalità.
I mass media sono influenzati dal mercato: è ovvio che bisogna vendere ciò che è di facile consumo. Perché gli artisti non provano ad abbassarsi alle esigenze delle masse?
Ti rispondo con le frasi di un poeta provenzale: ‘Se il canto è lieve e uguale a quello degli altri, che senso ha cantare?”. Se gli artisti dovessero tutti piegarci alle esigenze del mercato, che cosa ne sarebbe delle loro facoltà intellettive, che potrebbero costruire ben altro palazzo? Inoltre, se tutti facessero opere commerciali e uguali tra di loro, sarebbero davvero tutti ricchi e famosi come Dan Brown o John Grisham? Il successo nelle vendite è una lotteria, quasi sempre indipendente dai meriti individuali. E ovviamente questo non fa del venditore un pittore, uno scultore o un musicista serio.
Gli artisti seri troveranno sicuramente altri canali di diffusione.
Questo è in parte vero, ma questi canali di diffusione sono spesso canali di emarginazione: i musicisti di talento possono condividere le proprie opere su YouTube o provare a esibirsi, ma – nonostante gli sforzi – spesso non riescono a trovare pubblico o, se la trovano, sono costretti ad abbassare le proprie qualità per compiacerlo. Per la letteratura, esistono case editrici a pagamento o editori che si riservano quasi tutto il profitto a scapito dell’autore. Per il cinema esistono festival indipendenti, ma sono sempre tenuti all’ombra della divulgazione a pubblici più ampi. E potrei continuare ancora.
Gli artisti in altre epoche hanno lasciato il virtuosismo per compiacere pubblici non eruditi.
Sì, vero, ma, anche quando hanno compiaciuto il pubblico, sono stati spesso consapevoli che l’arte non è omologazione, ma un tentativo di rottura degli schemi preesistenti. Un tentativo, insomma, di dire qualcos’altro.
Gli artisti sono sempre stati poveri. Non puoi aspettarti che il mondo di oggi finanzi di più l’arte, visto che in passato musicisti e scrittori spesso non potevano vivere della loro opera. Inoltre, se l’arte non può essere rimessa al mercato, non può aspettarsi finanziamenti.
Se l’arte può migliorare e far progredire la società, perché non far vivere in modo più dignitoso gli artisti? Perché dovrebbero poter vivere dignitosamente solo i peggiori scrittori, musicisti e registi, cioè quelli che riescono a vendere più facilmente i loro pessimi artefatti? Inoltre parlando dell’artista del passato – se è vero che molti di loro hanno sofferto la fame o si sono messi al servizio dei potenti per sopravvivere – la musica, la letteratura e la complessità del loro pensiero in qualche modo avevano grande risonanza nella società: il loro operato era pienamente rispettato e nobilitato.
Esistono tanti artisti al servizio dei potenti di oggi, ed essi sono pienamente rispettati.
Sì, ma i loro contenuti – per compiacere la mediocrità del mercato – sono spesso discutibili. Ti dico alcuni nomi della realtà italiana: Sorrentino per il cinema – che non solo gira film in cui non tocca mai tematiche controverse, e neanche velatamente lascia intravedere le contraddizioni del nostro tempo; Baricco per la letteratura – che si ostina a vedere la scrittura come suggestioni di immagini sentimentali; Vasco Rossi e Tiziano Ferro per la musica – non ne parliamo, perché preferisco fermarmi qui.
Se non è il mercato a scegliere gli artisti che valgono, chi sarà a farlo?
La critica ovviamente. Bisogna diffondere maggiormente pensiero e sapere critico in modo che quante più persone possano analizzare i linguaggi dell’arte; bisogna smettere di circondare gli artisti mediocri della loro aura e del potere conferito loro dai mass media.
La critica e l’accademia hanno rovinato l’arte e l’hanno sottoposta a una omologazione ben peggiore di quella del mercato.
Secondo me è un po’ difficile omologare l’arte così come l’ha omologata e dilaniata il commercio. Mi auguro un futuro in cui siano creati maggiori spazi alla tutela dell’arte: così come oggi si cerca di salvaguardare l’ambiente dalla cementificazione, allo stesso modo in futuro bisognerà salvaguardare l’arte dall’aggressione del commercio e del marketing.
Gli spazi di protezione già esistono: nessuno ti impedisce di fare arte.
E’ vero che nessuno ti impedisce di fare arte, ma l’attuale società del feticismo delle merci impedisce di diffonderla e di condividerla nell’interesse generale, nell’interesse di migliorare se stessi e le coscienze altrui. L’arte – anche quando è per se stessi – in fondo non è mai veramente solo per se stessi, perché è un linguaggio – e come tutti i linguaggi ha la sua genesi, la sua storia, la sua evoluzione.
La vera arte non potrà mai essere veicolata a un pubblico ampio e soprattutto non potrà mai avere la risonanza che il commercio ha tramite i media, perché non genera profitti.
Non è vero. I media – come cinema, tivù e giornali – sono nati per altri scopi e non per fini commerciali: sono stati piegati alla logica del commercio. Se l’arte fosse più tutelata dalle istituzioni, sarebbe possibile dare maggiore visibilità a musica, cinema e letteratura di qualità.
Le istituzioni controllano e hanno sempre controllato l’arte.
Questo dipende da chi controlla le istituzioni e da chi le gestisce. E qui sarei costretto a parlare di come una diversa circolazione del profitto possa far sì che le attuali oppressive strutture di potere siano annientate. Perché sicuramente il problema della ‘morte dell’arte’ è di natura politica ed economica.