Carl Perkins

Oltre a Elvis Presley e Jerry Lee Lewis, intorno alla Sun Records e alla figura di Sam Phillips si radunarono altre due importanti figure della scena musicale del tempo. Uno era Johnny Cash, il profeta del country-blues di cui parleremo in un altro momento.

L’altro, invece, era Carl Perkins, figura di primo piano del cosiddetto rockabilly, quel mix di country e boogiewoogie che, grazie ai ritmi sincopati del rhythm and blues, ebbe grande successo nelle sale da ballo dell’America degli anni Cinquanta.

Rispetto al rock’n’roll – più sfaccettato e già idealmente aperto alle diverse contaminazioni che un giorno avrebbero caratterizzato il rock – il rockabilly era uno stile più semplice, le cui caratteristiche principali risiedevano nel suono squillante della chitarra elettrica, nell’utilizzo dell’effetto eco sulla voce e, infine, nel supporto ritmico di un contrabbasso suonato con una tecnica (il cosiddetto «slap-back») tale da generare un suono percussivo.

Carl Perkins, originario di Tiptonville, un piccolo centro del Tennessee, nacque il 9 aprile del 1932. A sei anni iniziò a lavorare nei campi, dove, per sopportare la fatica, ascoltava musica gospel. Qualche anno dopo, influenzato dal padre, si appassionò alla musica country. Desideroso di imitare i suoi musicisti preferiti, decise così di imparare a suonare la chitarra, mettendo mano alle sue prime composizioni all’età di quattordici anni. Insieme ai suoi due fratelli, Jay e Clayton, formò quindi la sua prima band, i Perkins Brothers, con la quale incominciò a suonare in alcuni piccoli locali della zona di Jackson, a sud di Tiptonville.

All’inizio degli anni Cinquanta, per sbarcare il lunario, oltre a suonare concerti un po’ dove capitava, Perkins ottenne anche un ingaggio per suonare regolarmente in un paio di programmi radiofonici. Nonostante tutto, si trattava di una vita che non gli dispiaceva. Ma, certo, quando alla radio ascoltò per la prima volta “Blue Moon of Kentucky” cantata da Elvis Presley, capì che se voleva fare il grande salto doveva assolutamente osare di più. Così, insieme ai suoi fratelli, partì alla volta di Memphis, dove riuscì ad ottenere un’audizione alla Sun Records. Era l’ottobre del 1954.

«In seguito al successo di Elvis, numerosi ragazzi bianchi di diversa estrazione, ma tutti convinti che la vita non avesse dato loro la possibilità di mostrare il proprio talento, vennero allo studio, chiedendo di essere ascoltati, perché sapevano che da noi avrebbero trovato quello stesso ambiente informale in cui erano cresciuti. Penso fu proprio per quel motivo – continua Phillips – che gente come Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Johnny Cash si rivolsero a me. Erano rozzi, ma tutti avevano voglia di cambiare vita, di darsi una ripulita. Così, riuscirono a generare una nuova forma di entusiasmo e di espressione. Erano coraggiosi e pronti a sfidare le critiche che tutti i nuovi artisti ricevono quando cercano di apportare dei cambiamenti.»

Sam Phillips restò favorevolmente colpito dalle qualità di Perkins e gli fece registrare il suo primo singolo “Movie Magg”, un brano in cui l’influenza country era ancora piuttosto evidente, ma certo non così clamorosa come su “Turn Around”, la ballata che era stata scelta per occupare il lato B.

Anche il secondo singolo (“Gone, Gone, Gone” / “Let the Juke Box Keep on Playing”) passò pressoché inosservato, ma Perkins non si lasciò intimidire e continuò ad affilare le armi, aspettando l’ispirazione giusta mentre se ne andava in tour con Elvis Presley e Johnny Cash. Poi, una sera del dicembre del 1955, arrivarono le… scarpe!

«Ero andato a divertirmi in un club della mia città – racconterà Perkins – (…) e notai un ragazzo con scarpe di camoscio blu intento a ballare con una gran bella ragazza. A un certo punto, lui le disse di non calpestargli le scarpe scamosciate. Era davvero un pazzo: con quello schianto al suo fianco, si preoccupava delle scarpe!»

Tornato in albergo a notte fonda, Perkins non perse tempo e buttò giù il testo di “Blue Suede Shoes”, annotando le parole su un sacchetto delle patate, perché non aveva altri fogli disponibili, e prendendo come incipit quelli di una vecchia filastrocca che i ragazzi usavano per lanciare gare di corsa.

Well, it’s one for the money
Two for the show
Three to get ready
Now go, cat, go
But don’t you
Step on my blue suede shoes
Well you can do anything
But stay off of my blue suede shoes

Destinato a diventare uno dei brani più famosi della sua era, “Blue Suede Shoes” (pubblicata agli inizi del 1956, l’anno di maggior successo commerciale del rockabilly) fu anche il primo singolo della Sun Records a vendere un milione di copie.

All’inizio, però, le vendite stentarono a decollare e fu solo grazie alla presenza fissa di Perkins al Big D Jamboree, una trasmissione radiofonica trasmessa dalla KRLD-AM di Dallas, che i negozi di dischi cominciarono ad essere presi d’assalto da tutta una massa di giovani e meno giovani che cercavano, tra le pile di dischi, quel 45 giri dedicato alle scarpe scamosciate.

Atteso al The Perry Como Show, che lo avrebbe messo di fronte a milioni e milioni di telespettatori, il 22 marzo del 1956 Perkins e i suoi fratelli si misero in viaggio per raggiungere New York. Lungo la strada, però, l’autista si addormentò al volante e l’auto finì contro un camion. In quell’incidente, il musicista si ruppe una clavicola, ma questo non gli impedì, appena un mese dopo, di ritornare in studio per registrare altri standard del rockabilly: “Boppin’ the Blues”, ”Everybody’s Trying To Be My Baby”, ”Dixie Fried” e ”Matchbox”. Fu proprio durante la registrazione di quest’ultimo brano, avvenuta il 4 dicembre del 1956, che Perkins si ritrovò a suonare e cantare con gli altri tre pezzi da novanta della storica etichetta di Memphis: Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e Johnny Cash.

Sam Phillips avrebbe definito i quattro con l’appellativo di “The Million Dollar Quartet”, che è anche il titolo con cui, nel 1981, quelle session (a base di rock’n’roll, rockabilly, gospel e country) sarebbero state pubblicate per la prima volta.

A causa delle vendite poco soddisfacenti degli ultimi singoli, la Sun Records, stufa anche dell’eccessiva sua passione per l’alcol, licenziò Perkins, di lì a poco pubblicando, però, Dance Album, LP che raccoglieva tutti i pezzi da novanta del suo repertorio.

Il primo album per la Columbia Records, Whole Lotta Shakin’ (1958), lo vedrà invece all’opera, ma senza molta convinzione, con le grandi hit rock’n’roll dell’epoca.

Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo, Perkins registrò comunque altri brani di un certo interesse (“Jive After Five”, “Rockin’ Record Hop”, “Pop, Let Me Have the Car”, “Hambone” e “L-O-V-E-V-I-L-L-E”), ma senza ottenere riscontri di vendite paragonabili a quelli di “Blue Suede Shoes”.

Nel 1964, Perkins volò in Inghilterra per un tour con Chuck Berry, ricevendo anche i calorosi omaggi dei Beatles. Tornato in patria, però, la fortuna iniziò a voltargli le spalle, mentre i suoi problemi di alcolismo peggioravano di giorno in giorno.

Per cercare di mantenersi a galla, iniziò ad aprire i concerti dell’amico Johnny Cash, al quale passò “Daddy Sang Bass”, un brano che nel 1968 schizzò al primo posto della classifica di Billboard.

In quello stesso anno, ritornò al suo primo amore, la musica country, pubblicando “Country Boy’s Dream”, un disco assolutamente prescindibile.

Fino alla sua morte, avvenuta nel 1998, Perkins continuò a collaborare con diversi artisti (tra cui Bob Dylan, Paul McCartney, Roy Orbison ed Eric Clapton), mentre la costante riscoperta dell’epoca d’oro del rockabilly ne andava consolidando la fama.

Discografia Consigliata

Original Sun Greatest Hits (compilation, 1986)

Newsletter Hive

Iscriviti e resta sempre aggiornato su articoli, news ed eventi di Hive Music

Iscriviti