Trapper: Genova e Napoli unite dal medesimo filo
C’è sempre stato un legame quasi inconscio tra le città di Napoli e Genova: il profumo del mare, la capacità di assorbire le culture più variegate, finanche un gemellaggio calcistico tra le tifoserie che dura saldamente da anni. Passeggiando a piedi tra i vicoli delle due città quasi non si avvertirebbe la differenza, se non fosse per quel modo di esprimersi estremamente diverso.
Nella loro storia recente, Genovesi e partenopei hanno donato davvero tanto al cantautorato italiano. E basterebbe citare due nomi per quantificare l’apporto di queste due tradizioni compositive assolutamente formidabili: Fabrizio De André e Pino Daniele. Ma non è di certo di questi due sommi maestri o del glorioso passato ciò di cui tratteremo in questa sede.
Nell’ultimo lustro, con l’avvento del genere Trap le due città marinare hanno cominciato a sviluppare, ciascuna alla propria maniera, un ricchissimo sottobosco di nuovi fenomeni in grado di percepire il cambiamento, la nuova filosofia post rap in atto. La parola Trap, come molti già sapranno, deriva da “Trap House”, ed è originariamente riferita a casa di spaccio dei sobborghi di Atlanta. Influenzato stilisticamente dal Moombahton – genere che mescola musica dance elettronica al reggaeton, dall’hip hop sperimentale con i kick costantemente in loop, e da un utilizzo massiccio dell’autotune, nel nostro paese questo stile ha attecchito praticamente all’istante, generando una serie impressionante di giovani autori, i cosiddetti “Trapper”, stanchi dei modelli del passato e dediti al lancio di una nuova filosofia sonora, qualcosa che potesse distaccare il presente dal modello rap dei ’90 essenzialmente ancora in voga ovunque, e portare tutto su nuovi piani d’azione, nuovi modi di intendere il flow, la stessa poesia del ghetto.
Una scommessa vinta a mani basse nel giro di pochi anni, grazie anche al volano della rivoluzione digitale in atto negli ultimi tre lustri. La rete ha garantito poi un’immediata visibilità a intere flotte di trapper, e tra un video sul tubo e l’altro le cose sono apparse fin da subito abbastanza chiare. Ai nuovi fenomeni della trap music non interessano i Festival, la propaganda artistica, e quei percorsi stantii e per certi versi superati attuati da decenni da gran parte dei discografici; a loro interessa soltanto il web, con i suoi social (Instagram su tutti) e la sua libertà d’azione e promozione.
Tedua e Vale Lambo sono tre le “nuove leve” più entusiasmanti del momento. Provengono da territori in apparenza lontani, eppure così vicini. Il primo è nato a Genova, ed è un pugile gagliardo, un ragazzo semplice che sa il fatto suo e a cui piace stendere rime su rime tra i quartieri multietnici di una città sempre in movimento. L’altro, invece, viene della periferia nord di Napoli, la stessa decantata con effetti pirotecnici da Gomorra, la stessa che ha vissuto una delle guerre criminali più violente della storia recente del nostro paese. Tedua e Vale Lambo sono due icone di una nicchia pronta ad esplodere artisticamente. Ma sono due personaggi diversissimi. Energico e molleggiato il primo, compassato e poderoso il secondo. Tuttavia, entrambi incarnano quel modello di giovane musicista dedito al genere Trap capace di raccontare più di ogni altro il disagio di sterminati quartieri abbandonati da troppo tempo a se stessi, dimenticati da tutto e (quasi) tutti.
Tedua è il nome d’arte di Mario Molinari (Genova, 21 febbraio 1994), conosciuto precedentemente come Incubo e successivamente come Duate. Una vita divisa tra case famiglia, Cogoleto – comune nella periferia ovest di Genova – e Calvairate, zona orientale di Milano appartenente al Municipio 4, dal quale deriva il nome Zona4Gang, crew di cui è membro insieme, tra gli altri, all’amico Rkomi. Tedua fa parte anche della crew Wild Bandana, formata assieme a IZI, Vaz Tè, Ill Rave e Sangue nel 2008. Nel 2014 pubblica il brano “Medaglia d’Oro”, in collaborazione con Vaz Tè, mentre nel 2015 esce “Aspettando Orange County”, che riscuote un discreto successo che lo porta alla ribalta in tutto il paese e non solo nella sua regione. Il 13 gennaio del 2017, il nostro pubblica finalmente il suo primo disco “ufficioso” (a detta sua) niente popò di meno che per l’etichetta Universal, intitolato “Orange County – California”, contenente brani del tape “Orange County” e sei nuovi inediti. Soltanto dieci mesi dopo, il 2 marzo 2018, esce il suo primo album “ufficiale” per Sony Music, intitolato “Mowgli”, con un totale di quattordici brani da solista, più due bonus track. E’ un disco che si distacca dagli altri lavori trap-oriented. Non tanto per le basi, ma per le parole, mai così profonde e segnate da un vissuto realmente difficile, la cui percezione pone Tedua su livelli più alti. Molinari ha la capacità di sbattere in faccia una serie impressionante di metafore e allegorie che non fanno prigionieri, come i versi de “La legge del più forte”, brano prodotto dal fidato e navigato Chris Nolan divenuto nel giro di poche settimane il suo cavallo di battaglia:
“Ho il naso fratturato però ho fatturato / Più che un rapper sei un reseller / E non ce ne servirebbe un altro / Dentro la strada non stana la tigre / Il vice tenente che tiene il fucile / Ricetrasmittente al mittente / Metti che ho in mente un piano per fuggire / Spara / Torni coi morti in bara / Non mi raddoppi e cala / Quella tua cresta da testa di cazzo / Me lo diceva la scena l’altr’anno / Ora si aspetta al cancello le chiavi / Vengo da Zena il cartello, no quello di Cali / Per i fratelli che fanno bordelli con gli assistenti sociali”.
A dar man forte a tale campionario di strofe penetranti, è la visione di un trapper che proprio non riesce a stare fermo, che danza come una “libellula” sul ring della vita e della musica. Un artista da segnare sul taccuino che continuerà a fare strada.
Di ben altro approccio è al contrario Vale Lambo, nome d’arte di Valerio Apice (Secondigliano, 25 gennaio 1991), membro del duo Le Scimmie (con Lele Blade) e del collettivo 365 MUV. Lambo è un trapper fuori da ogni recinto, un cane sciolto fedelissimo soltanto alla sua micro comunità, ma soprattutto un paroliere formidabile, trainato da basi mediamente portentose, talvolta ipnotiche, curate oltre ogni misura come quella del brano “Arò stat e cas” prodotta dal validissimo Yung Snapp; una canzone che ha diviso molto per i suoi passaggi pungenti nati dalla necessità, mai nascosta dal suo autore, di narrare la realtà delle cose senza troppi fronzoli, passando per fatti e misfatti che nessuno vorrebbe mai ascoltare, eppure esistenti, legati a una realtà di quartiere difficile da narrare senza averla vissuta in prima persona:
“Int a zona toj te va semp lisc’ / Acal e vetr nir, aggir int a Vanquish / Ma vuje aro stat e cas? / E nuje aro stamm e cas? (Ma ce vist aro stamm e cas?)”.
Parole che affondano come lame e che evidenziano una profonda presa di coscienza del territorio nel quale si è costretti a vivere. Lambo ha da poco dato alle stampe il suo nuovo album, intitolato “Angelo”, edito per Universal / Dogozilla Empire. Quattordici brani scritti con la collaborazione di diversi produttori dell’etichetta discografica di Don Joe, la Dogozilla, tra cui i compagni del collettivo 365muv e lo stesso Don Joe a fungere da cerimoniere e supervisore. L’album contiene la celebre e sopracitata “Arò Stat e Cas”, “Medusa”, “Un altro giorno un altro €uro” cantata con Guè Pequeno e “Over Fai”, tutti pubblicati sulle piattaforme digitali. Il titolo è emblematico e vuole raccontarci il lato angelico di un ragazzo che cerca di fuggire con le proprie ali da una vita estremamente complicata. Dunque, un pugile e un angelo che raccontano le stesse derive sociali. Due cantori moderni e due fenomeni da seguire nel solco della migliore tradizione musicale nostrana e per certi versi “cantautorale”. In fondo, il neorealismo non è mai morto.
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