Rockabilly minore

Molti dei protagonisti del rock’n’roll/rockabilly si sono persi tra i labirinti della memoria, pur avendo, spesso e volentieri, registrato brani di assoluto valore. La riscoperta di molti di essi avverrà tra la prima metà e la fine degli anni Settanta, soprattutto in Inghilterra, dove molti appassionati, incuriositi dalla pubblicazione di alcune antologie, presero a ricercare avidamente singoli e notizie relative ai protagonisti, più o meno famosi, di quell’epoca leggendaria.

Uno tra i primi a godere di quel rinnovato interesse fu Charlie Feathers, originario di Holly Springs, Mississippi, dove era nato il 12 giugno del 1932. Iniziò come sessionman alla corte della Sun Records di Sam Phillips (alcune voci suggeriscono che sia stato lui a indirizzare l’arrangiamento della rilettura di “Blue Moon Of Kentucky” di Elvis Presley), prima di pubblicare singoli con la Meteor e, quindi, con la King Records.

Il suo primo singolo, “I’ve Been Deceived” / “Peepin’ Eyes“, uscì nel 1955, ma si trattava ancora di materiale d’ascendenza hillbilly. Dopo aver scritto a quattro mani con Stan Kesler il brano country “I Forgot to Remember to Forget”, portata al successo da Elvis Presley, Feathers si avvicinò al rockabilly con l’accoppiata “Get With It” / “Tongue-Tied Jill”, su cui, in ogni caso, erano ancora molto marcate le influenze country e honky-tonk. Ad accompagnarlo, c’erano il chitarrista Jerry Huffman e il contrabbassista Jody Chastain, in quella che era, insomma, la formazione base di quel genere (la stessa che, per intenderci, Elvis aveva battezzato al suo esordio insieme a Bill Black e Scotty Moore).

I quattro singoli registrati da Feathers per la King Records nel biennio ’56-’57 (con l’aggiunta di Jimmy Swords alla batteria) sono solitamente indicati come i suoi più rappresentativi. Di quelle otto facciate, i momenti migliori sono da individuare nel passo zoppicante di “Can’t Hardly Stand It”, nelle reminiscenze Gene Vincent che attraversano, da cima a fondo, “Everybodys Lovin My Baby“, nei marcati accenti ritmici di “One Hand Loose” e “Nobody’s Woman” e, per finire, nell’accattivante verve pop di “Too Much Alike”. Altri due suoi grandi classici sono “Stutterin’ Cindy” e “That Certain Female”, che Feathers registrerà molto più avanti, rispettivamente nel 1968 e nel 1974.

Tutti questi brani sono esemplari nell’evidenziare il suo stile vocale, fatto di singhiozzi, gemiti e tutta una serie di moine vocali. Quello stile avrebbe influenzato molte delle formazioni del revival rockabilly, a cominciare dai Cramps. Nel 1974, Feathers pubblicò anche Good Rockin’ Tonight, un disco dedicato alla rilettura di alcuni classici del genere.

Johnny Powers (vero nome John Leon Joseph Pavlik, originario di Detroit, Michigan, dove era nato il 25 maggio del 1938) si fece conoscere nel 1957 quando, accompagnato dalla sua band, i Pacers, omaggiò il suo idolo Elvis Presley con il singolo “Long Blond Hair, Red Rose Lips” / “Rock Rock“, uscito su etichetta Fox. Quando, due anni dopo, firmò per la Sun, i singoli “With Your Love, With Your Kiss” / “Be Mine, All Mine” e “Waitin’ For You” / “Me and My Rhythm Guitar” (quest’ultimo rimasto inedito per anni) confermeranno quell’infatuazione, ma facendo leva su un sound meno travolgente.

Per qualche anno, anche Billy Lee Riley lavorò come sessionman alla corte della Sun. Il singolo “Trouble Bound” / “Rock With Me Baby” lo vide esordire nel 1956 su buoni livelli, ma sarà il successivo “Flyin’ Saucers Rock & Roll” / “I Want You Baby” (uscito l’anno successivo) a dargli una relativa fama. Accompagnato dai suoi Little Green Men, sul lato A di quel singolo Riley schiamazzava alla grande tra progressioni trascinanti e urla selvagge, mettendo sullo stesso piatto la passione per i rimi incendiari del rock’n’roll e quella per le storie dedicate agli UFO e ai dischi volanti, che tanta parte avevano nell’immaginario collettivo dei giovani dell’epoca. Il retro, invece, riusciva a evocare un po’ della grazia adolescenziale di Buddy Holly.

Riley (che era nato a Pocahontas, nell’Arkansas, il 5 ottobre 1933) aveva una voce carica di ruggine, come dimostra un’altra sua grande doppietta: “Red Hot” / “Pearly Lee” (1957). “Wouldn’t You Know” / “Baby Please Don’t Go” (1958) presentò, quindi, una deliziosa commistione di rockabilly e rhythm and blues, laddove “Down by the Riverside” / “No Name Girl” (1959) getterà nella mischia anche spezie country.

Purtroppo per lui, però, molte delle possibilità commerciali della sua musica furono limitate da Sam Phillips, che in quel periodo si stava concentrando come un matto alla promozione di un altro cavallo di razza della sua scuderia Sun: Jerry Lee Lewis.

Prima di diventare un famoso interprete di ballate romantiche (da ricordare almeno “Only The Lonely”, “Running Scared”, “Crying”, “Dream Baby”, “Leah” e “You Got It” e, soprattutto, la famosissima “Pretty Woman”), anche Roy Orbison (Vernon, Texas; 23 aprile 1936) sparò qualche colpo nel poligono del rockabilly, a cominciare da quella “Ooby Dooby” che, nel 1956 (accompagnata dall’altrettanto scatenata “Go! Go! Go!”) vendette intorno alle 500 mila copie, confermandosi, nel tempo, come uno dei classici del genere più apprezzati in assoluto.

Insieme ai suoi Teen Kings, Orbison registrò, nel biennio ’56-’58, diversi brani, molti dei quali, però, resteranno inediti per anni. Fatta eccezione per quelli che già prefiguravano la sua trasformazione in un cantante di ballate sentimentali, almeno “Rockhouse”, “I Like Love”, “A Cat Called Domino”, “Mean Little Mama” e “Problem” possono tranquillamente essere annoverati tra i classici minori del genere.

Con un quarto di sangue Cherokee nelle vene, Marvin Rainwater (nato Marvin Karlton Percy a Wichita, Kansas, il 2 luglio del 1925) si divertiva a indossare abiti che richiamavano le sue origini indiane. Dopo alcune mosse di stampo country & western, poco dopo la metà degli anni Cinquanta, Rainwater si avvicinò al rockabilly, registrando nel 1957 alcuni brani molto apprezzati dagli appassionati, tra cui “Hot And Cold”, “Dance Me Daddy“, “I Dig You Baby” e “Whole Lotta Woman“, con le ultime due (che riuscirono a sfondare anche il muro della Top 20 inglese) forti di un sound che non esitava a evidenziare anche un contagio “pop”.

Formatisi nel 1956 a Richmond, Virginia, i Rock-A-Teens erano un sestetto guidato dal cantante e chitarrista Vic Mizelle e completato dagli altri due chitarristi Bobby “Boo” Walke e Bill Cook, dal bassista Paul Dixon, dal sassofonista Eddie Robinson e dal batterista Bill Smith. Raggiunsero la fama nel 1959 con la chiassosa “Woo-Hoo”, raccolta l’anno successivo su un omonimo LP considerato, non a torto, dagli addetti ai lavori come l’ultimo grande album di puro rockabilly degli anni Cinquanta.

E, in effetti, in quei solchi lo spirito di quel sound è ancora intatto e si riverbera con grande efficacia in brani scoppiettanti come “Janis Will Rock”, “Lotta Boppin‘”, “Dance To The Bop”, “Twangy”, mentre, sul versante più rilassato, spicca la lenta cavalcata strumentale di “Pagan“. Purtroppo, a causa delle scarse vendite del disco, la band si sciolse poco dopo la sua pubblicazione.

Nel 1978, per la Rollin’ Rock uscì Texabilly, disco registrato l’anno prima da Johnny Carroll, un altro dei protagonisti minori della storia che stiamo raccontando. Nato a Godley, Texas, il 23 ottobre del 1937, nel 1956 Carroll aveva pubblicato, spalleggiato dai suoi Hit Hot Rocks, tre ottimi singoli per la Decca, su cui spiccavano “Rock n’ Roll Ruby“, “Corrine, Corrina“, “Wild Wild Women” e “Hot Rock“, brani sicuramente influenzati da quanto stava facendo, in quello stesso periodo, il suo idolo Elvis Presley, anche se comunque non privi di una certa personalità.

Purtroppo per lui, però, le cose non andarono per il verso giusto e, nonostante si fosse ritrovato a suonare anche con Bill Black e Scotty Moore, Carroll finì per perdersi nell’anonimato. Risalì la china, però, intorno alla metà degli anni Settanta, quando, sull’onda dell’entusiasmo che il rockabilly stava suscitando in numerosi appassionati, si ritrovò di nuovo con una chitarra in mano per registrare (accompagnato dal contrabbassista Ray Campi e dal batterista Steve Roosh) le dodici tracce del suddetto Texabilly, disco che s’impone come uno dei più convincenti tentativi di rinverdire lo spirito di quel sound (basterebbero le sole “People In Texas Like To Dance” e “Watcha Gonna Do” a confermarlo).

Pescando nel grande mare del rockabilly dell’epoca, fatto di svariate etichette e di altrettanti artisti che, in un modo o nell’altro, tentarono di imbeccare la canzone giusta, quella che avrebbe per sempre cambiato la loro vita, è possibile imbattersi, in un discreto numero di canzoni che conservano, a tutt’oggi, un’invidiabile freschezza.

Ecco, dunque, “Red Headed Woman” (1956) e l’accoppiata strumentale, con vertiginosi accenti rock’n’roll, “Thunderbird” / “Itchy” (1958), di Sonny Burgess; la matrice roots di “Susie-Q” (1957 – in seguito rivisitata dai Creedence Clearwater Revival) e la maleducata simpatia di “Mrs. Merguitory’s Daughter” (dall’album Oh! Suzy-Q del 1958) di Dale Hawkins; “Pink And Black” (1956), dedicata da Sonny Fisher alle Cadillac rosa, alle liceali e alle scarpe rosanere; “You’re Barking Up The Wrong Tree” (1957) di Don Woody (che la chiudeva imitando il verso del cane…); “Mama Don’t You Think I Know” (1957) di Jackie Lee Cochran; “Cast Iron Arm” (1957) di Johnny “Peanuts” Wilson; “Please Give Me Something” (1958) di Bill Allen and The Back Beats, brano in cui la disperazione dell’amante, causata dalla ritrosia della propria donna, si traduce in un sound sofferto e metallico; Pretty Bad Blues” (1956) e i fuochi d’artificio di “Bop-A-Lena” (1958) e di Ronnie Self; “Rock ‘n’ Roll Ruby” (1956) di Warren Smith; “I Got a Rocket in My Pocket” di Jimmy Lloyd, caratterizzata da un delizioso piano hony-tonk; “Rumble Rock” e “Ooh Yeah Baby”, pubblicate da Kip Tyler, famoso nel giro degli appassionati per il suo rockabilly suonato con grezza voluttà; “Forty Days” (1959) di Ronnie Hawkins; “Duck Tail” (1956) di Joe Clay; “I Think I’m Gonna Kill Myself” di Buddy Knox, accompagnato da un testo carico di humor nero e impreziosito da un breve ma incisivo assolo di chitarra elettrica; “Mona Lisa” di Conway Titty; “Cool Off Baby” (1957) di Billy Barrix, che potrebbe essere l’anello mancante tra il primo Elvis Presley e i Cramps; “Sunglasses After Dark” (1958) di Dwight Pullen (che proprio i Cramps ripresero sul loro epocale esordio del 1980); “Hot Dog” di Corky Jones; “Come On Little Mama” (1956) di Ray Harris; “Linda Lu” (1959) dell’afroamericano Ray Sharpe; “Oooh-Eee” (1956) di Rick Cartey; “Tornado” (1959) dei Jiants, il cui chitarrista, Jerry Hedges, utilizzava uno stile pulsante ispirato al twang di Duane Eddy; “Shirley Lee” (1958) di Bobby Lee Trammell; “Trapped Love” di Keith Courvale; “Rockin’ Little Angel” (1959) di Ray Smith, contraddistinta da un passo accattivante che gli consentì di scalare la classifica pop fino al ventiduesimo posto; la carica adrenalinica di “Bip Bop Boom”, pubblicata dall’accoppiata Mickey Hawks / Moon Mullins and his Night Raiders; “Sag, Drag and Fall” di Sid King & The Five Strings; la tribaleggiante “Jungle Rock” (1958) di Hank Mizell, che ebbe un clamoroso successo in pieno revival rockabilly, raggiungendo nel 1976 la terza posizione delle classifiche inglesi come singolo estratto dall’album omonimo; e, ancora, “One Cup Of Coffee (And A Cigarette)” (1958) di Glen Glenn. Da ricordare, infine, il classico assoluto di The Phantom (nome d’arte di Jerry Lott), quella “Love Me” che rappresenta, senza dubbio, uno dei momenti più elettrizzanti e sulfurei dell’intera saga rockabilly.

«Correvo per lo studio mentre battevo le mani e urlavo “Let’s go!”» – ricorderà lo stesso Lott. «Il batterista perse una delle sue bacchette… Il pianista prese a urlare, si alzò in piedi e buttò a terra il suo sgabello… Il chitarrista aveva gli occhiali che, di traverso, gli penzolavano sugli occhi, e pareva ipnotizzato.»

Discografia Consigliata

Charlie Feathers – Get With It: The Essential Recordings (1954-1969) (compilation, 1998)
Johnny Powers ‎– Long Blond Hair (compilation, 2003)
Billy Lee Riley ‎– Classic Recordings, 1956 – 1960 (compilation, 1990)
Marvin Rainwater ‎– Rockin’ Rollin’ Rainwater (compilation, 1982)
The Rock-A-Teens – Woo-Hoo (1960)
Johnny Carroll – Texabilly (1978)

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