Tents, post-punk in salsa viennese
In ambito indie rock (e dintorni) non bisogna di certo aspettarsi qualcosa di “innovativo” da una band che suona un po’ Interpol, un po’ tante cosine post-punk e così via. Tuttavia, i fenomeni spesso sanno camuffarsi al meglio pur ripescando dal passato. La ricetta degli austriaci Tents è sostanzialmente semplice: frullare Clash e Byrne con una spruzzatina dark e basso puntualmente incessante (alla Simon Gallup dei Cure, per intenderci). Il traguardo è conquistare un pubblico ovviamente nostalgico, allo stesso tempo attento a non confondere copia e originale.
Dopo aver iniziato la propria esperienza musicale con una serie di concerti decisamente riusciti in Austria, nel 2017 la band si è chiusa in studio per dare vita al primo Lp, Stars On The GPS Sky, che segue Under My Wings, mini album da sei pezzi sganciato nel 2016. I tre hanno registrato tutto nella propria saletta e in quella del fidato Christoph Amann, seguiti in cabina di regia dall’esperto Mario Zangl (Mile Me Deaf, Melt Downer).
I ritmi tropicali misti alla consueta chitarra post-punk presenti in The Stray, così come nella sbarazzina Sweet Patio, evidenziano un approccio sostanzialmente ibrido; è come se i tre inseguissero mondi in apparenza distanti, esaltandosi nei contrasti, nelle sfumature impercettibili, nei giochini elettronici, ma tenendo sempre bene in vista la scia definita in origine. I riferimenti sono a più riprese interscambiabili, al netto delle distanze stilistiche. Il singolo di lancio, Sabbatical, sembra uscito da un disco dei tardi Talking Heads. Mentre la chitarrina con andatura ubriacante e ubriaca della title-track ricorda vagamente i sempre poco citati Swell Maps.
Dunque, riff e programmazione, pelli e battiti digitali, squarci rock e voce robot. Clemens Posch (chitarra, voce, basso), Lucas Kulterer (basso) e Paul Stöttinger (batteria) allestiscono alla propria maniera un cerimoniale per gli amanti del post-punk più arioso. Prendete poi una ballad trasognata e criptica come Actress, con il refrain e l’alternanza synth/chitarra a richiamare i connazionali Bilderbuch (altra band formidabile capace di spaziare allegramente), e avrete un’idea ben compiuta della faccenda.
Tra satelliti messi in orbita dall’esercito statunitense per controllare il mondo e spy story mai risolte, si avverte senza dubbio un goliardico complottismo buono ormai per tutte le stagioni. Arrivano finanche svariati passaggi ironici, provocazioni bizzarre come quella di Elevator: “Chi ha costruito questo ascensore di merda? Chi ha costruito questa merda?”. Dulcis in fundo, a volte sembra di ascoltare Chris Martin dei Coldplay cantare in una formazione alternativa per nerd infranti, vedi la traccia più radiofonica del lotto, la conclusiva Wing Chair.
Ben lontani dal presente, i Tents rispolverano con successo ed estrema tenacia soluzioni eternamente ammiccanti. Una formazione disinvolta e da segnare sul taccuino.
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