Raffaele Cascone: la storica voce di "Per voi giovani"
Intro

«Quando la musica cambia, le mura della città tremano»
(Platone citato da Allen Ginsberg)

Molti di voi probabilmente ricorderanno Per voi giovani, una delle prime trasmissioni radiofoniche italiane a dare spazio, oltre che alla musica pop e rock, anche a tanti altri temi riguardanti l’universo giovanile. Nata nel 1966, Per voi giovani fu inizialmente condotta da Renzo Arbore, salvo poi essere affidata a una serie di conduttori tra cui figurava anche il “nostro” Raffaele Cascone. Terminata quella fondamentale esperienza, Cascone lavorò come critico musicale, valorizzando soprattutto la scena napoletana (il Neapolitan Power) a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Oggi, invece, si occupa di tutt’altro, anche se la Rai sembra aver riacceso i riflettori su di lui…

Francesco Nunziata

Raffaele, per iniziare raccontaci come nacque la tua passione per la musica.

Raffaele Cascone

La musica, intesa come una situazione, in cui un damerino su di un palcoscenico suona e canta per una platea di “spettatori” immobilizzati su di una sedia, è un dispositivo specializzato, che può dare un’immagine falsa di quello che è in gioco. Da bambino, dopo la seconda guerra mondiale, tutte le donne cantavano sempre: durante il lavoro in casa, nei campi, alla finestra. Quelli che avevano la radio ci cantavano sopra. Cantavano anche i bambini, gli uomini, a fine pranzo nei ristoranti, nelle gite fuori porta e ballavano anche tutti. La musica ascoltata a casa, attraverso un disco a 78 giri o attraverso un grosso apparecchio radio in un mobile era solo raramente un’attività solitaria: dato che, sia in famiglia che fuori, si tendeva a vivere insieme agli altri, l’ascolto della musica era collettivo, di gruppo, e poi non era semplicemente “ascolto” era un “sing along”: si cantava o si fischiava un motivo mentre veniva eseguito e poi, quando finiva, lo si continuava a canticchiare o fischiare. Mio padre e uno dei miei zii canticchiavano “Stardust”, cantata da Billy Ward credo, [di Nat King Cole, ndr] (“…sometimes I wonder…”) mentre si radevano, o la fischiavano. Con l’apparizione delle radioline a transistor e per chi viveva da solo, l’ascolto divenne solitario. Fa una bella differenza. E, poi, ci si muoveva molto: la musica e il canto sono musica e canto del corpo. Se cominci a ballare molto e bene e rendi il tuo corpo un corpo danzante, l’ascolto di una musica, anche lontana e distante, ti metterà in movimento parti del corpo addormentate senza che tu lo decida.

Francesco Nunziata

A un certo punto, ti ritrovasti a suonare con i Willy And The Internationals. Cosa ricordi di quel periodo?

Raffaele Cascone

Io avevo già un mio gruppo nel 1963, i Diamonds credo, o forse già i Battitori Selvaggi, una chitarra elettrica mediocre Ecko e un amplificatore Ecko. Al cinema Orchidea, vicino allo stadio del Vomero, prima del film e mentre venivano proiettate le pubblicità si usava diffondere un disco. Quel giorno fecero ascoltare “Lucille” di Willy And The Internationals, un suono e un genere che sembrava molto americano e si distaccava molto dalla musica lenta e noiosa dominante all’epoca. Non pensai potesse essere un gruppo italiano o addirittura napoletano. Per combinazione, qualche giorno dopo, un compagno di scuola, Enzo De Stefano, che abitava al primo piano nel mio palazzo, in primo viale Malatesta 15, mi disse che questi suoi amici, i Willy And The Internationals, una band italo-americana, cercavano un chitarrista ritmico. Provai con loro e mi presero. Fui colpito dal sound che la band aveva, soprattutto quello della chitarra di Claudio Castaldo, il primo e più grande chitarrista rock che abbiamo avuto in Italia: utilizzava effetti di riverbero e la famosa “onda d’urto” e di volume prodotta dall’amplificatore Silvertone da 20 watt. Provavamo a volume pauroso per l’epoca, a casa di Claudio, in Via Manzoni. Una volta, mentre suonavamo lo standard “Johnny Guitar” – che Claudio aveva arrangiato inserendovi una scala spudoratamente spagnola – la mamma di quest’ultimo (un’insegnante di musica) irruppe nella stanza come una furia e cominciò a gridare contro di lui, dicendo che quella scala non andava per niente bene con un brano western come quello! Claudio allontanò la mamma e riprendemmo a suonare come se niente fosse. Con i Willy And The Internationals lavorai un annetto, poi ritornai ai miei Battitori Selvaggi.

Francesco Nunziata

Cosa significava, allora, essere un appassionato di musica?

Raffaele Cascone

Ascoltare le radio militari americane e Radio Luxembourg e fare viaggi nel nord Europa e in Inghilterra dove, dal 1962, avevo iniziato a lavorare ogni estate. Durante l’inverno, suonavamo all’USO club in calata San Marco per i militari americani e in qualche MAK P 100.

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Francesco Nunziata

Negli anni Sessanta facesti anche un viaggio in Inghilterra… Ci racconti quell’esperienza?

Raffaele Cascone

Nel 1962 sono sul traghetto da Calais a Dover con i capelli a spazzola, blue jeans comprati al mercato di Resina e cravatta gialla e rossa americana e ho il primo incontro con i miei coetanei inglesi, vestiti con giacche di pelle, capelli lunghi fino alle spalle, moto di grossa cilindrata. Paragonato a loro, ero un damerino, anche se a Napoli già da americanizzato ero un anticonformista. A Londra incontro la nuova musica, i locali rhythm and blues e poi assisto, in un piccolo teatro, all’”American Folk Blues Festival”, con tutti i bluesmen acustici del Mississippi, da John Lee Hooker a Big Joe Williams. Da quel momento, non mi sono più ripreso: intendo dire che, forse, da allora ho cominciato a capire meglio la musica e tutto quello che le ruota intorno.

Francesco Nunziata

In seguito, iniziasti a lavorare per la rivista musicale Ciao 2001. Cosa significava, allora, essere un critico musicale?

Raffaele Cascone

Scrissi due o tre articoli per Ciao 2001, il migliore dei quali fu quello che riguardò il Festival di Wight del 1969 – se non sbaglio – dove c’erano anche foto che io stesso avevo scattato. Il tutto è sulla mia pagina Facebook.

Francesco Nunziata

Visti i cambiamenti epocali che ci sono stati a livello di fruizione della musica (sto pensando anche a tutti quegli strumenti che, volendo, oggi ci consentono di scaricare la musica direttamente dalla rete, il più delle volte senza pagare un euro) ha ancora senso, oggi, fare critica musicale? È giusto che chi scrive recensioni musicali possa avanzare la pretesa di farlo senza avere, di base, una solida conoscenza della storia del rock e della popular music in generale?

Raffaele Cascone

Certo che ha senso, ma bisogna allargare la visuale alla produzione musicale e artistica di tutti i paesi, soprattutto a quelli dell’Africa. Poi, allo stesso tempo, bisogna saper essere anche critico dei media. La natura di un prodotto artistico è molto influenzata dal medium che lo diffonde e lo distribuisce. Una cosa è se un brano lo ascoltiamo sulla TV 7, un’altra se lo ascoltiamo in onda media o in onda lunga su Radio Marocco.

Quanto alle recensioni, ognuno è libero di scrivere quello che vuole. Io penso che solo incontrando degli ignoranti si possa, poi, distinguerli dai competenti. Ma non sono categorie assolute. Diamo a un ignorante la possibilità di sorprenderci! Io preferisco leggere innanzitutto autori americani per quanto riguarda il rock, il blues e il jazz, ma gli inglesi e i francesi non mi dispiacciono. Bisogna riflettere sul fatto che in Italia, nel 2018 ancora non ci sia nemmeno una stazione radio nazionale o locale che trasmetta solo Jazz. Questi generi sono nati tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Africa, e anche nelle grandi capitali europee e lì continuano a evolversi, per cui quelli che vi ci abitano mi sembrano, in generale, persone più a diretto contatto con ciò di cui parlano. Non escludo, però, che a qualcuno, per esempio, potrebbe interessare che io parlassi e scrivessi della vita in Lapponia, sia se ci facessi un sopralluogo, sia nel caso che mi inventassi tutto. Alcuni scrittori non sono mai stati nei luoghi che descrivono, ma ci appassionano lo stesso.

Francesco Nunziata

Nel 1971 entrasti a far parte del team di conduttori di Per voi giovani, storica trasmissione “contenitore” che, per la prima volta, strizzava l’occhio al mondo e alle passioni delle nuove generazioni. Come sei arrivato a fare radio?

Raffaele Cascone

Ho sempre amato la radio. Fu un caso che cominciassi a lavorarci. Tornai da Londra in un periodo in cui avevo deciso di rientrare in Italia se avessi trovato lavoro per continuare gli studi. All’epoca, ero ancora iscritto a Medicina e un collega che collaborava con la Rai mi fece fare un provino a per Per voi giovani in un momento in cui Arbore, che l’aveva iniziata, stava progettando altre trasmissioni. Mi trovai scaraventato sulla radio nazionale dalla sera alla mattina nel 1972, ma avevo una grande esperienza di radio: conoscevo Marshall McLuhan alla perfezione grazie ai miei studi sulla comunicazione che applicai; avevo, poi, fatto un tirocinio nel consultorio a Cromwell, a contatto con il proletariato londinese e con i tossicodipendenti e ciò mi aveva messo a stretto contatto con la cultura giovanile emergente. All’epoca, in Italia il problema della tossicodipendenza non esisteva.

Francesco Nunziata

Contemporaneamente, iniziasti anche a darti da fare affinché molti musicisti e band napoletane potessero avere una certa visibilità…

Raffaele Cascone

La musica popolare degli Stati Uniti doveva essere affiancata dalla musica che nasceva dal popolo italiano per rappresentare un linguaggio di comunicazione per i giovani e non un mero consumo di saponette. Insomma, non doveva essere quella costruita a tavolino dai burocrati dell’industria discografica o dell’industria Rai e delle comunicazioni.

Francesco Nunziata

Gli anni Settanta rappresentarono sicuramente un momento decisivo per il rinnovamento della musica napoletana. Penso ad artisti e band quali Alan Sorrenti, Napoli Centrale, Osanna, Tony Esposito, Enzo Avitabile, Pino Daniele e, sul versante del rinnovamento della musica tradizionale, alla Nuova Compagnia di Canto Popolare. Quali furono, a tuo avviso, i fattori decisivi che favorirono una tale fioritura musicale?

Raffaele Cascone

Il fatto che esistesse un medium di diffusione e distribuzione generale e capillare come i miei programmi radio Per voi giovani e Popoff , programmi che diedero un’impressione di coesione e di unità tra loro anche di linguaggio e di movimento culturale, che in realtà non c’era e non ci sarebbe mai stata. Secondo me, utilizzando un mio tipo di narrazione caratteristica nel mettere insieme tutti questi frammenti attraverso la radio, diedi quell’illusione di unità, anche politica, ai vari artisti: un’unità alla quale gli artisti stessi si adeguarono o finsero di adeguarsi. Non dimenticate che, quando, con la chiusura di Per voi giovani da parte della Rai, finì quella stagione in cui la musica era diventata anche un linguaggio politico per i giovani, anche grazie a quelle trasmissioni, Edoardo Bennato, nella sua autenticità e fiuto anche commerciale, prese le distanze con il brano “Sono solo canzonette”.

Francesco Nunziata

Nel 1977, fosti tra i primi a credere in Pino Daniele. Qual era la vera forza musicale di Pino? Che ricordo hai dell’uomo?

Raffaele Cascone

Daniele continuava e trasformava l’esperienza che io iniziai con Napoli Centrale. Agli inizi trovai interessante il progetto di Daniele. Come poi si sviluppò fu gradevole, ma non è il mio genere. L’ho incontrato in un paio di occasioni. La prima volta, venne a trovarmi a Roma in un momento in cui casa mia era allagata e io e mia figlia, con i secchi, tentavamo di asciugare 50 centimetri di acqua dal pavimento. Invece di contribuire, si mise a sfottere, io gli dissi di andare a farsi benedire e lo misi alla porta. Lo andai a salutare trent’anni dopo in camerino, dopo un concerto e lui mi disse: «Ti ricordi quando mi mandasti a quel paese?» Due caratteri difficili, il mio e il suo.

Francesco Nunziata

Che esperienza iniziasti con i Napoli Centrale?

Raffaele Cascone

Assieme all’amico Alan Frenkiel, uno scrittore americano, fummo i produttori e gli art directors del progetto Napoli Centrale, che fu una mia idea sulla quale conversero James Senese, Franco del Prete e, quindi, la Ricordi, soprattutto nelle vesti del funzionario Gabriele Varano, già sassofonista di Peppino di Capri. Non entro nei dettagli, segnalo solo che curai la formula e il sound con grande attenzione: proposi il nome, lo stile musicale (fusion-ethnic-mediterranean), il servizio fotografico in copertina, che feci realizzare al grande fotoreporter del movimento politico milanese Aldo Bonasia, etc. Questo primo disco fu un tale successo che per il secondo non mi chiamarono per curarlo. Il loro secondo album, a parte la boiata pazzesca della conchiglia in copertina, fu, sia musicalmemte che come formula, una brutta copia sfocata, sbiadita e ripetitiva del primo. Da allora, i Napoli Centrale sono ritornati alla formula del primo album che, tra l’altro, a quarantaquattro anni di distanza, continua a vendere. Prima della realizzazione del terzo album, la Ricordi mi fece una telefonata, chiedendomi se fossi interessato a produrlo e a fare da art director. Gli dissi che non avrei illustrato un mio progetto prima di aver concordato le condizioni della collaborazione e aver stipulato un contratto. Risposero che mi avrebbero ricontattato, cosa che dopo quarantaquattro anni non hanno ancora fatto.

Francesco Nunziata

Come vedi, invece, l’attuale scena musicale napoletana e campana in genere?

Raffaele Cascone

Enormi potenzialità completamente sottovalutate e sottodimensionate. Problema del medium, dei media. Il primo che riesce a sbloccare questo settore dà vita a una rivoluzione culturale e artistica. È uno dei problemi su cui sto lavorando in questo periodo.

Francesco Nunziata

Qual è il tuo giudizio sul fenomeno dei “neomelodici”? E sulla nuova moda musicale dei più giovani, la cosiddetta “trap”?

Raffaele Cascone

I neo-melodici non mi arrivano proprio, la trap mai intercettata.

Francesco Nunziata

Sarebbe carino, da parte tua, se ci facessi una lista dei tuoi 10 o più dischi napoletani/campani preferiti, magari aggiungendo, per ognuno di essi, anche un piccolo commento.

Raffaele Cascone

Napoli Centrale – il primo, omonimo album uscito nel 1975. Quarant’anni avanti, a 360 gradi, dalla copertina nella monnezza di Chiaiano alla musica.

Tony EspositoRosso napoletano (1974): il suono e lo spirito dell’epoca.

Tony Cercola, uno qualsiasi dei suoi primi album: i negri del Vesuvio.

Mimmo di FranciaCameriere, champagne (1982): la tradizione italiana e napoletana della musica da night club.

Peppino di CapriLuna Caprese (1982): innovatore e rockettaro prima dei Beatles.

Roberto Murolo – tutta la discografia: le radici.

Alan SorrentiCome un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto (1973): vera fusion internazionale e world music con Tony Marcus e Dave Jackson.

Lucio Amelio – l’album inedito: arti figurative ed esistenziali incontrano la musica.

Edoardo BennatoLa torre di Babele (1976): l’album che contiene il brano “Venderò”, a me dedicato.

Edoardo BennatoPronti a salpare (2015): la title-track è ancora una canzone dedicata a me.

Nuova Compagnia di Canto PopolareLi sarracini adorano lu sole (1974)

Mario Perrone ‎– A Voice And A Piano For Your Own Night Club (1978)

Francesco Nunziata

Di cosa si occupa, oggi, Raffaele Cascone?

Raffaele Cascone

Psicoterapeuta sistemico e familiare, psicologo, faccio ricerca in epigenomica dei comportamenti, biosemeiotica, filosofia processuale, Next systemics. Medical and digital humanities. Collaboro con il dipartimento di medicina sperimentale e neuroscienze cliniche dell’Università di Palermo diretto dal professor Daniele La Barbera, con cui sto preparando il ciclo di seminari internazionali 2019, sulle basi e sui criteri neuroscientifici delle psicoterapie, delle relazioni di cura e dello “embodiment”, attraverso gli insegnamenti della biosemeiotica, dell’epigenetica dei comportamenti e del pensiero sistemico-processuale.
Insegno anche in scuole di psicoterapia sistemica e familiare ed esercito la professione (ACADEMIA).

La storia si ripete dopo cinquant’anni: come negli anni ‘60, ho proposte interessanti di lavoro in Italia e a Londra, sia nel campo scientifico (sto esaminando la fattibilità di una sorta di pendolarismo bimestrale tra l’Italia e l’Inghilterra), sia nel campo mediatico.

Notizia dell’ultima ora: la Rai Napoli mi ha chiesto il progetto di un programma radiofonico, che già ho presentato, per rilanciare la radiofonia della sede di Napoli e la radiofonia in generale, nel quale vorrei coinvolgere lo stesso Renzo Arbore, che ha mostrato interesse per la proposta, malgrado, come sempre, sia molto richiesto e molto impegnato. Mi accontenterei anche se Renzo realizzasse una serie di interventi-commenti tematici registrati, da mettere su cartucce e da lanciare “at random” nella continuità del flusso di sensazioni e musiche del programma. Il titolo proposto da me: Zero gradimento. Oppure: Rock del mediterraneo, anno zero. La formula: radio e musica come medium di sensazioni e non di elucubrazioni concettuali, parlati flash di max trenta secondi, nella continuità delle sensazioni. Insomma: “a medium for projects”, piuttosto che quella di una trasmissione di “projects for media”. In sostanza, un adeguamento alle “radio continue” AM e FM USA che, dal 1950 a oggi, hanno apportato un evoluzione del medium rispetto al quale, nell’annus domini 2018, non essersi ancora adeguati, in Italia – con l’eccezione della Radio Vaticana – è veramente ridicolo.

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