Lo scopo di questa rubrica sarà quello di analizzare i fenomeni più intriganti e innovativi della musica italiana e internazionale. Un viaggio in diverse puntate. Un trip lunghissimo e costantemente aggiornato, il cui obiettivo è quello di far luce sulle costanti mutazioni in atto nell’industria discografica.
Ma non solo: oltre l’aspetto meramente sonoro, si cercherà di quantificare anche il risvolto estetico, i trend in corso d’opera, i potenziali hype e le next big thing provenienti da tutto il pianeta. Il tutto sempre con un occhio di riguardo notevole verso le tendenze del nostro paese e del territorio.
Innanzitutto, per comprendere le svariate inclinazioni dell’industria discografica avvenute negli ultimi anni occorrerebbe canalizzare il proprio sguardo verso la rivoluzione musicale accresciutasi in merito al bing bang digitale e all’avvento del web. Una rivoluzione sociale totalizzante, che ha scombussolato gran parte delle certezze acquisite e degli schemi notevoli mediamente utilizzati dallo star system e dal settore musicale più alternativo.
A cominciare dalla nascita del “fu” Myspace tutto è cambiato. La produzione è diventata fai da te. La promozione ha seguito gradualmente lo stesso schema, appannaggio di una diffusione spasmodica e di un accrescimento reiterato di uscite fotocopia, talvolta di scarsissima qualità. Un’ondata che ha investito principalmente le piccole etichette, costrette a chiudere i battenti o a sopravvivere nel marasma.
Il peer-to-peer con il quale si alimenta il download illegale ha poi pensato al resto, dando il colpo di grazia definitivo a un sistema che sembrava inattaccabile perlomeno fino ai tardi Anni Novanta.
Tuttavia, nei primi anni del nuovo millennio è venuto a mancare l’underground che conta. L’appiattimento generato dal nuovo approccio compositivo ha creato un bug artistico che ha lasciato il segno e che ancora oggi tende a fare la “differenza”.
Se prima la scena pop era dominata dalle poche proposte veramente interessanti (pochissime, a dire il vero) segnalateci dalla kermesse sanremese, divenuta nel frattempo estensione degli studi televisivi del biscione, e la nicchia stentava a decollare dall’alto di una spocchia, di una presunzione e di una autoproclamata superiorità tendenzialmente lesiva, oggi molto sembra essere comunque migliorato.
Etichette come Riotmaker, Aiuola Dischi, Pippola, Piccica hanno aperto il campo di battaglia, immolandosi in anticipo sui tempi e aprendo la strada alle innumerevoli realtà definite come indie; queste ultime sorte con relativo successo soltanto nel decennio successivo.
Si è passati da Moltheni a Dente in un battito di ciglia, incrociando le genuine riflessioni post crisi di Dario Brunori, fino ad arrivare alla sfrontatezza generazionale dei vari Motta, Cosmo, Calcutta. Al cosiddetto it-pop. Nel mezzo di questa deriva, troviamo una serie impressionante di gruppi fotocopia dal nome spesso improponibile, figliocci smarriti di un rock che pare aver esaurito la propria spinta propulsiva dei tempi migliori.
Scomparse in parte le derive sanremesi, il sistema musicale popular nostrano è in gran parte maturato e ha saputo riconvertirsi alle dinamiche liquide del web.
Band come Thegiornalisti e singoli come Pamplona sono l’esempio di una fusione tra fittizio micro universo indie, mainstream, vettore radio ed espansione social. Così come l’altra hit estiva, l’ascoltatissima Riccione, ha praticamente riportato in auge le nostalgie marittime tutte italiane, in un ritorno di fiamma per i benemeriti Anni Ottanta quantomeno poco prevedibile alla vigilia, al netto di una crisi economica sempre più insostenibile. Uno smacco per tutti coloro che prevedevano un ulteriore allontanamento di questa presunta scena indie dai peccati del mainstream radiofonico.
Mentre band dal piglio cantautorale da sempre appartenenti a una cricca di ascoltatori ben localizzata, come i Baustelle di Francesco Bianconi, hanno cominciato a interagire costantemente e con saggezza con il tessuto più pop, vedi ad esempio la stessa collaborazione della band di Montepulciano con Irene Grandi, o con prodotti dei tanto vituperati talent come Noemi. Sintonie insolite, connubi che inducono a una riflessione e a prendere coscienza dell’inesistenza di una distinzione nitida tra macrocosmo e microcosmo musicofilo dall’inclinazione pop.
L’inarrestabile diffusione di nuovi portali in cui ascoltare musica a 360° ha contribuito a sua volta a una canalizzazione sommaria, tanto positiva, quanto confusionaria. A tale spasmodica domanda del nuovo consumatore, sempre più giovane ed esigente, ma soprattutto sempre più insofferente, le diverse etichette non sono riuscite ad adeguarsi al meglio. Gli stessi musicisti sono sempre più costretti a produrre in fretta, bypassando così l’ispirazione e i suoi tempi.
Al netto di tutte queste considerazioni, nel 2018 tutto sembra aver raggiunto una sua precisa stabilità. Sono spuntanti finanche rapper con il cappuccio dall’identità segreta come l’osannato Liberato. I trapper fumano erba in diretta, e al contempo cantano di profughi e disagio, prendendo quindi il megafono tra le mani, sottraendolo a cantautori sempre più introspettivi, autoreferenziali e depressi.
L’aria è dunque cambiata. Ed è giunta l’ora di deviare lo sguardo dal passato, e di analizzare giorno dopo giorno, settimana dopo settimana le più ammiccanti realtà di un’industria musicale che sembra aver finalmente mutato la propria direzione, la propria pelle.
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