Rock Around The Clock
Secondo una consolidata tradizione storiografica, l’anno del “grande inizio” del rock’n’roll fu il 1954. In quell’anno, infatti, la musica che nasceva all’incrocio tra il rhythm and blues e il country & western uscì definitivamente allo scoperto, iniziando a comparire nelle classifiche dei dischi più venduti sul territorio americano. Tuttavia, il termine «rock’n’roll» (che si può tradurre con «oscillare e rotolare») non era nuovo, perché già verso la fine del 1951 il leggendario dj Alan Freed (nome di battaglia “Moondog”) aveva deciso di chiamare il suo programma, trasmesso dalla stazione radio WJW di Cleveland, nell’Ohio, «Moondog Rock’n’Roll Party», un programma che, di fatto, inventò un nuovo formato radiofonico, che aveva di mira un pubblico giovanile misto (bianco e nero), in tal modo superando, almeno idealmente, le barriere della discriminazione razziale. Per la cronaca, lo stesso Freed organizzerà, il 9 giugno di quello stesso anno, “Moondog Coronation Ball“. Si trattava, a tutti gli effetti, del primo concerto di rock’n’roll della storia. Erano previste due serate, ma i biglietti che vennero stampati non recavano le date per distinguerle.
Così, poco prima dell’inizio della serata inaugurale, tutti quelli che avevano acquistato un biglietto si presentarono ai cancelli della Cleveland Arena, aspettando di entrarvi per prendere posto. Ovviamente, non c’era spazio a sufficienza e la polizia fu costretta a disperdere la folla con gli idranti poco dopo la fine del primo brano suonato da Paul “Hucklebuck” Williams. Così, gli altri artisti ingaggiati (Tiny Grimes, i Rocking Highlanders, i Dominoes, Varetta Dillard e Danny Cobb) non ebbero modo di esibirsi.
Tornando alle origini del termine «rock’n’roll», c’è da dire, comunque, che già nel XVII secolo i marinai lo utilizzavano per indicare il movimento delle barche scosse dalle tumultuose onde causate dalle tempeste. Tre secoli dopo, per la precisione nel 1904, l’Edison Quartet registrò, dunque, il brano “The Camp Meeting Jubilee”, che conteneva le seguenti liriche:
“We’ve been rockin’ an’ rolling in your arms
Rockin’ and rolling in your arms
Rockin’ and rolling in your arms
In the arms of Moses”
in cui «rock’n’roll» indicava l’atto del ballare in maniera scatenata. Successivamente, il termine assunse connotazioni maliziosamente sessuali, così come, ad esempio, mostra un brano del 1922 di Trixie Smith, “My Man Rocks Me, With One Steady Roll”.
Nelle chiese del Sud degli Stati Uniti, dove le celebrazioni liturgiche erano accompagnate dalla musica gospel, «rock’n’roll» fu utilizzato, invece, per riferirsi all’estasi mistica che era possibile sperimentare durante il trasporto emotivo causato da quei canti e da quelle movenze scatenate.
Nel 1934, invece, le Boswell Sisters (tre sorelle bianche originarie di New Orleans) incisero “Rock and Roll”, un brano contraddistinto da una ritmica accattivante e da armonie vocali. Seguirono, quindi, “Good Rocking Tonight” (1947) e “Rockin’ At Midnight” (1949) di Roy Brown, “We’re Gonna Rock, We’re Gonna Roll” di Wild Bill Moore, “Rocking Blues” (1950) di Johnny Otis, “We’re Gonna Rock” (1950) di Cecil Gant, “Rock Me All Night Long” (1952) dei Ravens, “Let’s Rock Awhile” (1951) e “Rock, Rock, Rock” (1952) di Amos Milburn e “Rock-A-Beatin’ Boogie” degli Esquire Boys.
Si trattava di brani in cui frequenti, sia nei titoli che nei testi, erano i riferimenti al ballo, al rapporto sessuale e al divertimento in genere. A detta di molti critici, comunque, la prima registrazione che può ragionevolmente considerarsi come vera anticipatrice del «rock’n’roll» è “Rocket 88”, un brano scritto da un giovanissimo Ike Turner (futuro marito di Tina Turner), registrato agli inizi di marzo del 1951 e accreditato a Jackie Brenston and his Delta Cats. Basata su “Cadillac Boogie” (1947) di Jimmy Liggins, “Rocket 88” cantava la gioia di guidare l’omonima automobile prodotta dalla Oldsmobile a partire dal 1949. Caratterizzato da un andamento trascinante, dalle puntellature del pianoforte, dagli assoli sbarazzini del sax (suonato con uno stile più ruvido rispetto alla media dei dischi di rhythm and blues) e da un iper-amplificato suono di chitarra (causa, narrano le leggende, un amplificatore guasto!) il brano guardava decisamente oltre il suo tempo.
Altri momenti importanti nella strada che condusse verso la codificazione del rock’n’roll furono “Move It On Over” di Hank Williams (1947), “Chicken Shack Boogie” di Amos Milburn (1947), “Rock the Joint” di Jimmy Preston (1947), “The Fat Man” di Fats Domino (1949) e “How High the Moon” di Les Paul e Mary Ford.
La penetrazione sempre più capillare di tutti questi brani nell’immaginario collettivo, così come di molti altri, fu favorita anche dalla diffusione, in sempre più case americane, della radio. Fondamentale fu, ovviamente, anche la nascita di diverse etichette discografiche, che miravano a registrare quanti più dischi possibili da destinare al mercato giovanile, ormai in fibrillazione in quel fatidico 1954. Uno dei primissimi 45 giri ad invaderlo con forza dirompente fu quello che conteneva “Sh-boom”, un brano dapprima pubblicato dai Chords e poi rivisitato dai canadesi Crew-Cuts.
Anche se non si trattava tecnicamente di rock’n’roll, il successo di “Sh-boom” inaugurò una fase nuova dell’industria discografica, da quel momento alle prese con un pubblico assolutamente interrazziale. Un pubblico che non aspettava altro che l’avvento del rock’n’roll, la musica della ribellione giovanile, la colonna sonora di un netto stacco generazionale. Lo avrebbe confermato, nel marzo del 1955, l’uscita nelle sale cinematografiche di un film destinato a restare vivo nell’immaginario dell’epoca: Blackboard Jungle, diretto da Richard Brooks e uscito in Italia con il titolo Il seme della violenza. Tratto da un romanzo del 1954 di Evan Hunter, quel film si concentrava sul problema del disagio e della dilagante delinquenza giovanile. Nella colonna sonora (che, nel 2010, la Turner Classic Movies avrebbe indicato come una delle quindici più influenti di sempre) faceva bella mostra di sé anche un brano di Bill Haley, un giovane musicista bianco che, insieme ai suoi Comets, aveva registrato “Rock Around the Clock”, scritto nel 1952 da Max C. Freedman e James E. Myers. Pubblicato su 45 giri, quel brano era passato pressoché inosservato.
Fu l’impatto dirompente di un altro brano, “Shake, Rattle and Roll”, uno shouting blues di Big Joe Turner, a dare ad Haley – che sempre in quel 1954 lo aveva ricondotto su coordinate rock’n’roll – la spinta giusta, così che “Rock Around the Clock” fosse scelta dai produttori del film come pezzo forte della sua colonna sonora.
Sull’onda del successo di Blackboard Jungle, “Rock Around the Clock” divenne una hit clamorosa, schizzando al vertice delle classifiche americane e, di lì a quattro mesi, anche in quelle di mezzo mondo. Introdotto dal memorabile conteggio :
One, two, three o’clock, four o’clock, rock
Five, six, seven o’clock, eight o’clock, rock
Nine, ten, eleven o’clock, twelve o’clock, rock
“Rock Around the Clock” si snoda per due minuti e mezzo con la baldanza di chi, inconsciamente, sa che resterà scolpita nella memoria collettiva. Oltre agli evidenti retaggi rhythm and blues, il brano mostrava anche una certa filiazione country, proveniente non soltanto dalle dirette esperienze che Haley aveva fatto all’inizio della sua carriera, ma anche da “Move It On Over” di Hank Williams, le cui prime quattro battute sono in pratica identiche alle corrispondenti quattro del brano che stiamo esaminando. A sua volta, però, quello di Williams si rifaceva a “Going to Move to Alabama”, un brano del 1929 registrato da Charley Patton, uno dei grandi maestri del Delta blues, egli stesso ispirato, in ogni caso, dal “Kansas City Blues” (1927) di Jim Jackson.
La rete intertestuale era completata, poi, dal jazz-boogie “Red Wagon” (1939) di Count Basie, cui gli autori di “Rock Around the Clock” attinsero sicuramente per rifinire qualche passaggio del loro “rock intorno all’orologio”.
L’enorme quantità di copie vendute dal 45 giri (poi inserito in apertura dell’omonimo disco pubblicato nel dicembre del 1955 e contenente altri pezzi forti del repertorio di Bill Haley & The Comets) trasformarono il musicista nato nel 1925 ad Highland Park, nel Michigan, nella prima star internazionale del rock’n’roll e questo nonostante Haley, quasi trentenne, avesse tutt’altro che l’aspetto di un ribelle, anche a causa di un occhio strabico…
Playlist
Edison Quartet – The Camp Meeting Jubilee
Trixie Smith – My Man Rocks Me, with One Steady Roll
Boswell Sisters – Rock and Roll
Roy Brown – Good Rocking Tonight
Roy Brown – Rockin’ At Midnight
Wild Bill Moore – We’re Gonna Rock, We’re Gonna Roll
Johnny Otis – Rocking Blues
Cecil Gant – We’re Gonna Rock
Ravens – Rock Me All Night Long
Amos Milburn – Let’s Rock Awhile
Amos Milburn – Rock, Rock, Rock
Amos Milburn – Chicken Shack Boogie
Esquire Boys – Rock-a-Beatin’ Boogie
Jackie Brenston and his Delta Cats – Rocket 88
Hank Williams – Move It On Over
Jimmy Preston – Rock the Joint
Fats Domino – The Fat Man
Les Paul / Mary Ford – How High the Moon
Crew-Cunts – Sh-boom
Bill Haley & His Comets – Rock Around The Clock
Bill Haley & His Comets – Shake, Rattle and Roll
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