Il rock’n’roll in Italia
Uscita in malo modo dalla Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si avviò lentamente verso la ricostruzione e la rinascita, affidando anche alla musica “leggera” le sue speranze. A differenza del fervore creativo che, in quello stesso periodo, stava attraversando gli Stati Uniti e, seppur in minima parte, anche l’Inghilterra, in Italia resisteva strenuamente una tradizione di canzonette melodiche che, tra le altre cose, servirono anche a rassicurare un popolo molto provato dalle tragedie degli ultimi anni. Da questo punto di vista, il Festival di Sanremo incarnò un bisogno, neppure troppo latente, di ritorno all’ordine. Per tutti gli anni Cinquanta, nel Bel Paese si respirerà un’aria così asfittica che, quando nel 1958 Domenico Modugno trionfò a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu” (passata poi alla storia con il semplice titolo di “Volare”), gli addetti ai lavori parlarono di “rivoluzione”, quando, in verità, in quel brano c’era davvero poco che potesse far pensare a una rottura radicale, soprattutto se si pensa a ciò che, nel frattempo, stava accadendo oltreoceano, lungo la linea tracciata, con forza dirompente, dal rock’n’roll. Di quest’ultimo, comunque, gli italiani sapevano davvero poco, se non pochissimo. Del resto, le condizioni socio-culturali che avevano favorito la nascita di quella musica erano molto diverse da quelle in cui ristagnava il nostro Paese, dove anche quelli che, idealmente, dovevano o potevano ribellarsi allo status quo (i giovani, s’intende) non sembravano avere molta voglia di alzare la testa. Tuttavia, poco alla volta, le sonorità del rock’n’roll americano filtrarono anche qui da noi, spingendo un buon numero di giovani a buttarsi nella mischia. Un ruolo non marginale nella diffusione dei brani originali di quella musica la ebbero i soldati americani di stanza nelle varie basi militari dislocate lungo la penisola. Nella zona urbana di Napoli, ad esempio, molti ebbero modo di conoscere i primi grandi successi del rock’n’roll grazie ai dischi che quei soldati (di stanza a Bagnoli) facevano circolare, spesso con il consenso del proprio governo, cui non sfuggiva di certo il fatto che, anche attraverso la musica, si possono influenzare gli usi e i costumi di una società. Tra gli album più richiesti, c’erano quelli di Fats Domino ed Elvis Presley.
Fu così che molti italiani presero ad aprire sale da ballo in cui ci si poteva scatenare anche al suono del rock’n’roll, mentre non di rado i giovani nostrani univano le forze con i militari americani per dare vita a formazioni miste il cui unico obiettivo era quello di suonare il rock’n’roll.
Il primo contatto “ufficiale” del pubblico italiano con quella nuova, frizzante musica avvenne nel 1956, quando il film Rock Around The Clock di Fred F. Sears (titolo italiano: Senza tregua il rock’n’roll) raggiunse le sale cinematografiche (un anno prima, invece, Blackboard Jungle – Il seme della violenza – non aveva avuto il nulla osta governativo perché – queste le motivazioni addotte – «offensivo del decoro e del prestigio della istituzione della scuola», oltre che per la presenza in esso di «numerose scene di crudeltà»). Qualche mese dopo, il Quartetto Cetra (un quartetto vocale dall’aria fin troppo rassicurante) incise una propria versione dell’omonimo brano di punta di quel film, pubblicandolo con il titolo di “L’orologio matto”. Accompagnato da un testo di Tata Giacobetti, quella cover sabotava l’energia del grande successo di Bill Haley & His Comets con un arrangiamento per orchestrina jazz. Tre anni dopo, i quattro replicarono con “Colombo Rock”, un brano ancora più scadente, per quanto simpatico nel suo rinnovato tentativo di depurare il rock’n’roll da ogni spigolo, in modo da poterlo servire, senza colpo ferire, alle famiglie. Del resto, per la stragrande maggioranza di quest’ultime, il rock’n’roll non era altro che il sintomo di una “malattia” da debellare, secondo quanto la stampa nostrana andava raccontando proprio in quel periodo. Su un numero di Sorrisi e canzoni del settembre del 1956, si poteva, ad esempio, leggere quanto segue:
«L’effetto che il […] ritmo [del rock and roll] produce è simile a quello di un uomo morso dalla tarantola, o “in preda a crisi epilettica”. In America […] la passione per la nuova danza ha assunto proporzioni tali da preoccupare l’opinione pubblica. Ogni volta che ha luogo una seduta di “Rock and Roll”, la polizia è infatti costretta ad intervenire: i giovani dei due sessi, travolti dal ritmo, riscaldati dallo swing, si agitano e si dimenano, saltano sulle sedie, mettono a soqquadro il locale.»1
Per molti studiosi, l’avvento vero e proprio del rock’n’roll in Italia deve essere fatto risalire al 1957, per la precisione al 18 maggio, giorno in cui, al Palaghiaccio di Milano, si tenne il primo “Festival italiano del rock’ n’ roll”. A organizzarlo fu Bruno Dossena, che si era imposto come uno dei nostri migliori ballerini di rock’n’roll acrobatico. Fu lo stesso Dossena a contattare gli artisti, tra cui Ghigo e i suoi Arrabbiati, “Torquato il molleggiato” (in seguito conosciuto come Jack La Cayenne), Guidone, Baby Gate, Giorgio Gaber, Tony Renis, Adriano Celentano ed Enzo Jannacci. Al festival accorsero ben diecimila ragazzi che, oltre a ballare, cantare e dimenarsi per tutto il tempo, presero, durante l’esibizione di Celentano, a rompere sedie e quant’altro, spingendo il quotidiano La notte a pubblicare, il giorno dopo, un articolo accompagnato dall’eclatante titolo “Palazzo del ghiaccio devastato dal nuovo divo del rock’ n’ roll”.
L’avvento di quella nuova musica andò di pari passo con il boom del mercato discografico italiano: in un lustro, dal 1953 al 1958, le vendite dei dischi erano aumentate del 30%. Dischi che, in ogni caso, i giovani si divertivano ad ascoltare soprattutto tramite i juke-box, che la RCA aveva iniziato a commercializzare a partire dal 1956.
Ma torniamo al “Festival italiano del rock’ n’ roll” del 1957. In una delle band che vi presero parte, i Rock Boys, militava il cantante Adriano Celentano (Milano, 6 gennaio 1938), che nel giro di poco tempo sarebbe diventato il capofila di tutti i cosiddetti “urlatori” con il soprannome de “il molleggiato”. Celentano, che si era fatto un certo nome come imitatore di Jerry Lee Lewis, quella sera mandò in visibilio i giovani presenti, cantando “Ciao ti dirò”, un brano cadenzato che ricordava un po’ le prime cose di Elvis Presley. Un paio di discografici, perfettamente mimetizzati tra il pubblico, presero nota e gli fecero firmare immediatamente un contratto. Tempo pochi mesi e Celentano avrebbe esordito con alcuni singoli in cui rileggeva brani di rock’n’roll americano come “Rip It Up”, “Jailhouse Rock”, “Tutti Frutti” e “Blueberry Hill”. Le vendite furono scarsine (1500 copie di media a singolo). Le cose andarono a posto, però, quando, nel luglio del 1959, Celentano vinse il Festival di Ancona con “Il tuo bacio è come un rock”, brano trascinante e scanzonato che gli valse anche il primo posto nella classifica dei 45 giri grazie alle 300 mila copie vendute nella sola prima settimana. Due anni dopo, invece, con “24 mila baci” conquisterà la vetta del Festival di Sanremo, superando anche il tetto di un milione di copie vendute. Tra le altre sue incursioni rock’n’roll dell’epoca, c’è da ricordare almeno quella di “Pitagora” (1960), brano caratterizzato da un attacco contagiosissimo:
La somma dei quadrati costruiti sui cateti
è uguale a quella dell’ipotenusa
Pitagora, Pitagora, che uomo quadrato sei tu
Negli anni successivi, Celentano sarebbe diventato uno degli interpreti più apprezzati della canzone italiana, tornando, di tanto in tanto, a rivisitare quelle origini così scoppiettanti.
Con la sua band, Gli Erranti, anche il cantante Silvano Silvi (San Giovanni in Persiceto, 12 settembre 1936) si diede, inizialmente, alla reinterpretazione di alcuni dei brani di punta del rock’n’roll americano, imponendosi all’attenzione del pubblico come uno dei primi e più convincenti cantanti di quel genere musicale. Anzi, stando a quanto sostengono alcuni studiosi, Silvi fu addirittura il primo artista nostrano a portare sulle piste da ballo i ritmi indiavolati della musica di Chuck Berry ed Elvis Presley, spesso alternandoli con quelli dei balli latino-americani e del twist. Il suo esordio discografico è datato 1959, quando arrivò nei negozi di dischi il singolo “Disintegrato”/ “Miss Memory”, cui fece seguito “Pity Pity / “My True Love” e, quindi, nel 1960, “Mary Mary” / “I treni”. Nei singoli successivi, Silvi inclinerà sempre più verso un sound debitore del pop-rock britannico.
Uno dei precursori della chitarra rock in Italia fu Ricky Sann, nome d’arte di Riccardo Sanna, che in seguito avrebbe intrapreso una fortunata carriera con il nome di Ricky Gianco. Dopo aver fatto il botto, all’esordio nel 1959, con una sua versione di “Ciao ti dirò” (due milioni di copie vendute), Ricky Sann mostrò il suo amore per il rock’n’roll con il brano “Precipito” e con la cover di “Twenty Flight Rock” di Eddie Cochran. Nel 1960, accompagnato dal gruppo I Ribelli (in cui suonava il chitarrista Gino Santercole, nipote di Celentano), Ricky Sanna (aveva guadagnato, nel frattempo, una “a”) consolidò la sua fama di rocker con l’accoppiata “La camicia blu” / “Ribelli in blues”, in cui convivevano divertissement finto-demenziale e zoppicanti architetture strumentali. In quello stesso anno, insieme a Santercole, Ricky Sanna fu anche tra i primi membri del neonato “Clan” di Celentano, casa discografica e, insieme, sorta di comune artistica che il cantante milanese aveva fondato per avere maggiore autonomia nella gestione della propria musica e di quella dei suoi protetti.
Un altro personaggio importante della nostra storia è Ghigo Agosti, nato Arrigo Riccardo Agosti il 10 luglio del 1936 in quel di Milano. All’età di dieci anni, Agosti manifestò già un’insana passione per il blues e lo swing, riuscendo, in seguito, a mettere le mani su molti dischi di importazione grazie al cugino Paolo Tosi, già direttore della Decca London Italiana. Considerato anche uno dei pionieri del cosiddetto “rock demenziale” italiano, Agosti si divertiva a organizzare jam session a casa sua, invitando, tra gli altri, anche Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Con quest’ultimo, nel 1954 formò la band “Ghigo e gli arrabbiati”, in cui, durante gli anni, militeranno anche musicisti quali Ricky Sanna, il bassista Guidone e il batterista Tony Cicatiello. Agosti scrisse il suo brano più famoso nel 1956, pubblicandolo l’anno successivo. Dedicato alla showgirl transessuale Coccinelle (Jacques-Charles Dufresnoy) – protagonista, nel 1958, di uno dei primi cambiamenti di sesso della storia – “Coccinella” shakera, con demenziale efficacia, rock’n’roll e rhythm’n’blues. Il brano subì i colpi della censura a causa di un testo (cantato con un finto accento americano) in cui emergevano velate allusioni sessuali.
Amore amore amore
ti prego per favore
togli quel vestito
ed uno più pulito
vatti a metter per me!(…)
Tu sei come un whisky
io mi sbronzo di te
ma togli quel vestito che fa tanto schifo a me!
Tuttavia, come spesso accade in casi come questi, il passaparola fu più forte di qualsiasi censura e il singolo (sul cui lato B compariva una più rassicurante “Stazione del rock”) vendette almeno un milione di copie. Dopo quel successo, Agosti darà vita a nuove band (Ghigo e i Goghi, Black Sunday Flowers), fonderà, insieme a Little Tony e Tony Renis, il Partito estremista dell’urlo (per contrapporsi ai ricatti della Rai, continuamente alla ricerca di musica mielosa e rassicurante) e assumerà identità diverse (Mister Anima, Rico Agosti o Probus Harlem), sempre cercando di smuovere, a modo suo, le acque stagnanti della musica italiana. A conti fatti, però, brani come “Banana (Frutto di moda)”, “Dai fa la brava”, “Allocco tra gli angeli”, “Si titubi, tu titubi”, “Scalogna e carcere”, “Tredici vermi col filtro e “No! Al demonio”, se potevano far venire l’orticaria al provinciale pubblico italiano, erano in verità davvero poca cosa se paragonati ai momenti più esplosivi del rock’n’roll americano e inglese.
Altro anticipatore della moda del rock demenziale fu Clemente “Clem” Sacco, nato da genitori italiani a Il Cairo (Egitto), il 19 maggio 1933. Desideroso di diventare un cantante d’opera, Sacco si trasferì a Milano agli inizi degli anni Cinquanta, ma accantonò quel sogno nel momento in cui scoprì il «rock’n’roll». Iniziò così a scrivere testi che riflettevano la sua spiccata ironia. “Agnese Rock” del 1961 fu la sua prima canzone a mostrare una certa affinità con quella musica, seguita da successi clamorosi al jukebox, tra cui spicca soprattutto la delirante “Oh mama voglio l’uovo a la cocque”, il cui testo non lascia adito a dubbi sulla qualità demenziale di tutta l’operazione:
Oh mama, voglio l’uovo a la coque
oh mama e ballare in slip
oh mama e suonare in frac
e cantare il rock ‘n roll
Sono pazzo come il rock
sono pazzo come il rock
sono pazzo come il rock
sono pazzo pazzo pazzo
pazzo pazzo pazzo
come il rock(…)
Oh mama, voglio fare il casquè
scivolando dal bidet
e gridare uè uè
come fan gli scimpanzè
C’era, poi, “Baciami la vena varicosa” (1963), che forse faceva ancora peggio (o meglio?):
Baciami la vena varicosa
succhiami il dente del giudizio
strappami il pelo del neo
vampira vampira vampira cha cha
succhiami la rotula del femore
strappami l’unghia incarnata
baciami pure l’ombelico(lo)
Vampira, vampira, vampira, vampira…
Dopo essere diventato, per un certo periodo, il cantante de I Ribelli, Clem Sacco divenne il leader di una band tutta sua, I Califfi, con cui continuò a macinare brani sempre caratterizzati da un connubio di ironia e gusto per l’assurdo. A fine anni Sessanta, invece, assunta l’identità di Clementina Gay, si esibì regolarmente in un locale gay di Milano. Poco dopo, abbandonò la musica per ritirarsi a vita privata.
Alla fine del 1958, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber diedero vita al progetto I due corsari. Nel biennio successivo, incisero sei singoli e un Ep, tutti contraddistinti da un sound rock’n’roll annacquato e da testi carichi di ironico sberleffo. Con la sua Rolling Crew, Gaber inciderà, nel 1958, anche una cover di “Be-Bop-A-Lula” di Gene Vincent.
Prima di diventare la stella assoluta della canzone italiana con il nome di Mina, anche Anna Maria Mazzini (Busto Arsizio, 25 marzo 1940) aveva dato (quando ancora si nascondeva dietro l’identità di Baby Gate e cantava negli Happy Boys) il suo piccolo contributo alla diffusione del rock’n’roll in Italia. I brani da ripescare, a tal proposito, sono la cover del 1958 di “Be-Bop-A-Lula” e il trittico “Splish Splash”, “Nessuno” e “Tintarella di luna” dell’anno successivo.
Restando sul versante femminile, una delle più scatenate interpreti del rock’n’roll italiano fu Brunetta, nata Mara Brunetta Pacini a Cascina, il 7 marzo 1945. Il suo esordio avvenne nel 1959 con una seducente “Baby Rock”, cui seguirono “Teddy rock” e la cover di “Tutti frutti”. Si trattò, in ogni caso, di una parentesi effimera, preludio a una decisa sterzata verso sonorità molto più melodiche.
Guidone era, invece, il nome d’arte che si era scelto il cantante Guido Celestino Egidio (nato a Brescia il 6 marzo del 1938) in onore dei suoi oltre 120 chili di peso. Innamoratosi del rock’n’roll, esordì su singolo nel 1959 con un’interpretazione di “Ciao ti dirò”. Proseguì, quindi, con altre cover, tra cui quelle di “Il tuo bacio è come un rock” e “Coccinella”. Dopo essere entrato a far parte del “Clan” di Celentano, Guidone decise, intorno alla metà degli anni Sessanta, di andarsene in giro per il mondo, accompagnato dalla sua band. Si stabilì infine ad Atene, città in cui divenne molto popolare, come dimostrarono le rilevanti vendite del suo LP Guidone For Shake del 1965. In quello stesso anno, il 24 giugno, sarà tra gli artisti chiamati ad aprire il concerto dei Beatles a Milano. Due anni dopo, invece, in Grecia aprirà per i Rolling Stones, abbandonando poco dopo le scene musicali.
Sul finire del 1959, nello studio di Renato Carosone, Roby Milione (nome d’arte di Roberto Derossi; Milano, 1940) incise “Rock Satana”, un brano dal ritmo ballabile e tutt’altro che mefistofelico. Tuttavia, il nome di Satana nel titolo era un affronto troppo grande per un’Italia fortemente ancorata (ma il più delle volte in modo molto superficiale…) ai valori cristiani. Così, tre settimane appena dopo la sua pubblicazione, il brano subì i colpi della censura.
Oh rock Satana
mi tenti col tuo ritmo indiavolato.
Oh oh rock Satana
mi prendi e mi trascini come un turbine.Non so resisterti
vorrei difendermi
ma tu mi avvinci
di più… sì!
Dopo un secondo, innocuo singolo, Roby Milione cadde nell’anonimato.
Con Little Tony (vero nome Antonio Ciacci; Tivoli, 9 febbraio 1941), anche l’Italia ebbe la sua versione di Elvis Presley. Jack Good, un noto impresario inglese, lo aveva notato durante un’esibizione a Milano, dove era accompagnato dai fratelli. Decise, quindi, di portarlo in Inghilterra, dove Little Tony and his Brothers ebbero modo di mettere su una buona dose di esperienza sul campo. “Believe What You Say” / “Treat Me Nice” (uscito nel 1958) fu il loro primo singolo, seguito, in quello stesso anno, da “I’m Walkin'” / “Lotta Lovin” e, quindi, da altri tentativi di fare il verso ai maestri del genere. In quei primi singoli, il cantante e chitarrista tivolese mostrò di essere ben più convincente dei suoi colleghi italiani nell’approcciare la materia del rock’n’roll (si ascoltino, ad esempio, le interpretazioni di brani quali “Lotta Lovin’”, “Baby I Don’t Care”, “I Got Stung” o “Shake, Rattle and Roll”). Tornato in Italia, Little Tony firmò un contratto con la Durium, ma, per motivi commerciali, non gli fu concesso di cantare in inglese. Così, accettando di esprimersi nella sua lingua madre, egli finì per appiattire il suo repertorio su canzonette sdolcinate che, il più delle volte, facevano pensare a sbiadite rievocazioni dell’Elvis Presley più languido.
Tra gli altri artisti italiani che, in un modo o nell’altro, entrarono in contatto con il rock’n’roll, ci sono da ricordare ancora Peppino di Capri (ad esempio, con la cover di “Teach Yout To Rock”), Ninni Maina, in arte Cesar May (“I Surrender Dear” e “Make Love To Me”), il misterioso Johnny Baldini (“King Of Rock”) e Angela Denia Tarenzi, che nel 1960 incise le sbarazzine “Angela bambina cattiva” e “Rock della naja”.
Tra le band, invece, mi piace ricordare Willy and the Internationals, band mista nata a Napoli verso la fine del 1962 e composta da tre universitari partenopei (il cantante Geppino Savarese – che tutti chiamavano Willy -, il chitarrista Claudio Castaldo e il batterista Franco Ferrante) e tre studenti della Sherman School di via Manzoni (il bassista Bill Dowling e i chitarristi Frank Piraino e Bill Meyers). Firmato un contratto con la Vis Radio, la band pubblicò due singoli, su cui comparve anche una scatenata cover di “Lucille” di Little Richard. Nel 1963, la band riuscì anche a guadagnarsi un passaggio in Rai grazie al programma Carnet di Musica. Intorno alla metà degli anni Sessanta, entrò a far parte della band, in qualità di chitarrista, anche Raffaele Cascone, che in seguito, oltre a collaborare con la rivista Ciao 2001, sarebbe stato tra i conduttori di Per voi giovani, storica trasmissione di Radio Rai dedicata alla musica pop e rock.
Note:
- Scuotiti e fremi, “Sorrisi e canzoni”, V, 39, 23 settembre 1956
Discografia Consigliata
L’Italia è come un rock (Italia was a rockin’) 1956-62 (compilation, 2014)
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