Little Richard
Uno dei personaggi più istrionici e irriverenti dell’era del rock’n’roll fu sicuramente Little Richard, nato Richard Wayne Penniman il 5 dicembre del 1932 a Macon, nello stato della Georgia.
Per dare ancora più sostanza alla sua opera di sovvertimento della morale dei benpensanti, Little Richard (che, come Jerry Lee Lewis, aveva nel pianoforte la sua arma prediletta) era solito, durante le sue esibizioni, indossare abiti sgargianti e parrucche, mentre il suo volto era ricoperto da vistosi trucchi. Sul palco, amava inoltre dimenarsi spesso con una carica sensuale così travolgente da togliere ogni dubbio circa la sua omosessualità. La sua musica sapeva essere, insieme, volgare e spirituale, carnale e religiosa. Un musicista rock’n’roll, nero e omosessuale, che per di più cantava dei piaceri del sesso: per l’America bigotta del tempo fu un vero shock.
Cresciuto in una famiglia profondamente religiosa, il giovane Richard iniziò a cantare nelle chiese del Sud, mettendosi in mostra grazie ad una voce così potente da fargli guadagnare l’appellativo di “War Hawk” (“falco di guerra”). L’assidua frequentazione di quegli ambienti sacri e la scoperta di Brother Joe May, un cantante evangelista, fecero nascere il lui la volontà di diventare prete. Tuttavia, all’età di diciannove anni, riuscì ad ottenere un contratto con RCA, ma non ne scaturì nulla di buono. Passò, quindi, alla corte della Peacock Records, pubblicando, tra il 1951 e il 1954, alcuni 45 giri di scarso valore.
Nel 1955, sotto la guida del produttore Robert “Bumps” Blackwell, Little Richard mise a frutto una sintesi sonora più affascinante, in cui il suo retaggio gospel conviveva con sonorità funk, boogie-woogie, rhythm and blues, solidi tappeti percussivi, ritmi cadenzati ed echi di vaudeville e dei «minstrel show» (gli spettacoli in cui alcuni cantanti bianchi facevano la parodia della musica e del canto dei neri).
Aveva, nel frattempo, formato anche una band, The Upsetters, con la quale prese a suonare in giro regolarmente. Fu proprio in questa fase che, insieme agli altri membri della band, egli iniziò a esibirsi dal vivo con tanto di trucco e abiti coloratissimi. «La gente pensava fossimo delle showgirl e, invece, eravamo dei ragazzi…», dirà alcuni anni dopo. Come ricorda Piero Scaruffi, quelle pose furono ispirate da due eccentrici personaggi dell’epoca: «un oscuro cantante blues di Atlanta, Billy Wright, che fu il primo a truccarsi e vestirsi in maniera decadente, ed Esquerita (al secolo Eskew Reeder, Jr., nda), un altro pianista maniacale.»
Un giorno, stando a quanto ci hanno tramandato le cronache, mentre si trovava in uno studio di New Orleans per registrare delle session, Little Richard, per ammazzare il tempo tra una prova e l’altra, si lanciò in una specie di scioglilingua dedicato al…sedere. Colpito da quello che aveva appena sentito, Blackwell gli chiese di registrare il tutto. Nacque, così, “Tutti Frutti”, «il primo hit rock’n’roll – scrive Negri Scaglione – che si affida esclusivamente al suono, e al ritmo, per comunicare il proprio significato.» D’altra parte, per quelli che erano un attimino più smaliziati, già quel titolo poteva bastare per creare un certo scompiglio: “tutti frutti” è, infatti, un modo per indicare un omosessuale, mentre l’espressione “frutti”, derivata da “fruity”, sta a indicare qualcosa tipo “roba da checca”…
Inizialmente, le liriche che Little Richard aveva cantato rendevano inequivocabili quei riferimenti, con passaggi tipo:
“Tutti Frutti / Loose booty”
“Tutti Frutti / Ha perso il culo”
o, ancora:
“If it’s tight, it’s all right / And if it’s greasy, it makes it easy”
“Se è stretto, va bene / e se è lubrificato, tutto è più semplice”
Blackwell, però, sapeva bene che, nel caso avesse lasciato correre, il brano sarebbe stato immediatamente boicottato da tutti i media. Così, per alleggerire il testo, si rivolse alla cantautrice Dorothy LaBostrie, che lo riscrisse e lo ammorbidì in una mezz’oretta scarsa, mentre il resto dei musicisti provava la musica. Introdotto dal memorabile nonsense “A-wop-bom-a-loo-mop-a-lomp-bom-bom!” (un modo pratico usato dallo stesso artista per suggerire al suo batterista il tipo di ritmo che aveva in mente per accompagnare il brano), “Tutti Frutti” esplode con fragore dalle casse, coinvolgendoci in una danza sfrenata, tra martellamenti pianistici, contrappunti e assoli di sassofono e grida di giubilo.
Il brano (destinato a diventare uno dei classici assoluti del rock’n’roll) schizzò immediatamente al secondo posto della classifica di Billboard, di lì a poco ottenendo ottimi riscontri anche in Inghilterra.
Tra il 1955 e il 1958, finirono su 45 giri altri suoi classici: “Long Tall Sally” (un veloce uptempo boogie dedicato, molto probabilmente, a un travestito di nome Long Tall Sally e al suo amante Uncle John), la pimpante “Rip It Up”, il 4/4 ostinato di “Lucille”, l’agile e scoppiettante “Jenny Jenny”, una “Keep a Knockin’” la cui introduzione “pestata” sarà ripresa (diciamo così…) anni dopo dai Led Zeppelin per dare il là alla loro “Rock and Roll”, e “Good Golly, Miss Molly”, profondamente influenzata da quella “Rocket 88” di Ike Turner da molti considerata come la prima, vera anticipazione del rock’n’roll.
Tutti questi brani trovarono posto anche sui suoi due primi album, Here’s Little Richard (1957) e l’omonimo dell’anno successivo che, a conti fatti, si lascia preferire per una maggiore compattezza e per la presenza di altre chicche, tra le quali la deliziosa “By the Light of the Silvery Moon“, le trame saltellanti di “All Around the World”, la sensuale frenesia di “Ooh! My Soul” e una “Heeby-Jeebies” che riecheggia “Tutti Frutti“.
Al culmine del successo, però, Little Richard decise di abbandonare le scene per diventare prete. Come egli stesso raccontò, Dio gli avrebbe fatto visita, dicendogli che il rock’n’roll non gli andava a genio. E, naturalmente, lui non poteva deludere Dio! La Specialty, la sua etichetta discografica, pensò che il suo artista fosse improvvisamente diventato pazzo, ma decise comunque di aspettare che tornasse in sé, pubblicando alcune antologie da dare in pasto alle torme di fan.
La scelta fu azzeccata, perché cinque anni dopo, nel 1962, Little Richard si fece convincere da un promoter a volare in Inghilterra per una serie di concerti, supportato dagli allora giovanissimi Beatles e Rolling Stones, che tanto avevano imparato da lui. Si trattò, in ogni caso, dell’ultimo grande momento di successo della sua carriera. Da lì in avanti, infatti, il nostro non sarà più in grado di toccare i picchi creativi degli anni Cinquanta.
Si prese, comunque, cura di un ancora sconosciuto Jimi Hendrix (che suonò nella sua band tra il 1964 e il 1965), tentò di rinverdire i fasti di “Tutti Frutti” con “Bama Lama Bama Loo”, passò attraverso una fase soul (si recuperi l’intrigante The Explosive Little Richard del 1966) e funk-soul (i modesti The Rill Thing del 1970 e The Second Coming del 1972), cadde nel vortice della droga, tornò a predicare la religione cristiana e si lasciò omaggiare come pioniere del rock’n’roll, una musica che, ancora oggi, alla veneranda età di ottantacinque anni, dice di amare ancora come la prima volta.
“Elvis potrebbe essere il re del rock’n’roll, ma io sono la regina.”
Discografia Consigliata
Here’s Little Richard (1957)
Little Richard (1958)
The Explosive Little Richard (1967)
The Very Best of Little Richard (compilation, 2008)
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