Full EP
Intro
Avete presenti i Dolmen o le teste rocciose dell’isola di Pasqua? Ecco, quelli sono degli OOPArt.
Questo acronimo è derivato dall’inglese “Out Of Place ARTifacts”, e vuol dire testualmente “reperti fuori posto”. È un termine coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson, per dare un nome a una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione storica, ossia rappresenterebbero un anacronismo.
Da questo acronimo escono a gran voce gli OOPArt, un gruppo romano di tre giovani artisti, formatosi nel 2014 un po’ come i dolmen: si stanno ancora chiedendo come sia (per fortuna!) potuto accadere.
In questa intervista Valerio Rossini, batterista del gruppo, è la voce che racconta come è nata la band.
Simone
Ciao Valerio, durante le mie esperienze musicali ho ascoltato per caso gli OOPArt, e mi è venuta voglia di far sapere a tutti i nostri lettori com’è nata la tua band, così ti ho contattato per un’intervista. Emozionaci!
Valerio
Ciao Simone e grazie per questa possibilità, è un grande piacere poter raccontare la bellezza dell’esperienza che stiamo vivendo.
La band nasce dall’incontro fra i banchi dell’università di Tor Vergata tra Flavio (il chitarrista) e Valerio (il batterista, che sarei io). Ci siamo conosciuti parlando di musica e di peperoncini (altra grande passione del nostro power trio), e abbiamo scoperto di aver avuto entrambi, in passato, delle esperienze in band musicali. Purtroppo per entrambi quei bei momenti si sono spenti al finire del periodo liceale, lasciando una sensazione di incompiuto nei nostri cuori. Ci siamo resi subito conto che la nostra passione per la musica non era solo un lontano sentimento, e avendo capito di essere affini nel sound, abbiamo deciso di unire le forze. È a questo punto che Flavio contatta il suo amico di una vita, Andrea, già bassista del loro vecchio gruppo e anche lui grande appassionato di musica.
Nell’autunno del 2014 il progetto prende forma e finalmente ci siamo riuniti per dare inizio alle prove tecniche. Da quel momento non abbiamo più smesso.
L’alchimia e la simbiosi partirono immediatamente, come un colpo di fulmine tra due innamorati. Per due anni il gruppo andò avanti suonando le cover degli artisti che più amavamo, formando un repertorio attinto dalle pietre miliari di Jimi Hendrix fino ai pezzi meno conosciuti di Jack White, attingendo a un genere musicale che spazia dall’hard rock al blues, fino allo stoner rock.
Ma visto che le prove andavano bene e suonavamo molto spesso insieme abbiamo deciso di scegliere un nome per la band, che avesse un rintocco anche in quello che suoniamo. Non ci è voluto molto per scegliere l’enigmatico e altisonante “OOPArt”, acronimo di Out Of Place Artifacts e relativo alle misteriose opere del passato di cui io stesso sono un grande appassionato; allo stesso tempo questo termine cita un pezzo del chitarrista “finger-style” Franco Morone, uno degli artisti che ha influenzato lo stile poliedrico di Flavio alla chitarra.
Nel 2016 avvenne la prima esperienza “live”, per la prima volta provammo insieme l’emozione di suonare su un palco e quel momento rimarrà impresso per sempre nei nostri cuori. Il successo personale e il divertimento, di suonare davanti a tutti quegli amici, erano tali che il gruppo voleva di più: decidemmo seduta stante di passare da un repertorio di cover a scrivere un album di inediti. Non passò nemmeno un anno da quella decisione, e esattamente 365 giorni dopo il primo concerto, presentammo il primo EP omonimo con un trionfante release party. L’album venne immediatamente trasmesso da alcune radio inglesi e giunse persino oltreoceano, in California. L’euforia fu infinita e ricevemmo in poco tempo tantissime visualizzazioni, soprattutto quando venne condiviso dai vari canali YouTube.
Ora siamo impegnati per il prossimo album, ma di questo non posso dire nulla!
Simone
Siete partiti decisamente col piede giusto, ma perché avete scelto di suonare questo genere musicale?
Valerio
Tenendo conto del fatto che l’appartenenza a un genere musicale piuttosto che ad un altro è sempre una questione spinosa, abbiamo scelto di suonare il genere musicale che più rappresenta la nostra dimensione di power trio, e questo è lo “stoner rock”.
L’EP “OOPArt” però ha anche punte di blues e di vero hard rock, dunque lasciamo aperta la porta anche ad altre espressioni musicali, purché ci ispirino e rappresentino.
Simone
Lo “stoner-rock” è un sottogenere della musica metal che presenta molte contaminazioni sonore. Cosa vi attrae di questo sound e quali artisti vi hanno ispirato?
Valerio
Molti dei gruppi che abbiamo ascoltato e che ci hanno ispirato nel processo creativo sono annoverati nel genere stoner: ad esempio i Kadavar, gli Abramis Brama, i Kyuss e i Radio Moscow, che recentemente abbiamo visto esibirsi dal vivo qui a Roma, senza dimenticare ovviamente gli immortali Black Sabbath. Ciò che ci piace di più di questo sound sono le sonorità psichedeliche che Flavio può inventare alla chitarra, le linee di basso potenti e portanti che si articolano dal Thunderbird di Andrea e gli stacchi delle ritmiche cangianti che io posso far emergere dalla batteria.
Simone
Il momento più importante per una band, più che stare sul palco, è quello in cui si creano i testi e le musiche per i pezzi che dovranno emozionare il pubblico. Come avviene tutto questo negli OOPArt?
Valerio
È davvero un momento magico quello del processo creativo in sala prove. Basti pensare che per ultimare uno dei pezzi del nostro primo EP ci abbiamo impiegato solamente due ore. Il più delle volte è Flavio a proporre i nuovi riff e le melodie da sviluppare, ma poi è nel calderone delle ore in sala prove che prendono forma i pezzi, grazie alle intuizioni di tutti noi. Anche sui testi il lavoro lo facciamo assieme, in quanto spesso uno di noi scrive il canovaccio principale e lo propone agli altri, velocizzando così le modifiche finali.
Simone
Cosa pensate delle altre band emergenti e del panorama musicale di questo periodo? C’è spazio per nuovi artisti oggi?
Valerio
Abbiamo conosciuto sia personalmente che virtualmente altre band emergenti come noi, del panorama romano e non. C’è da dire che trovare spazio è davvero difficile: per i ragazzi alle prime armi come noi risulta complicato persino proporsi ai locali per esibirsi. Però il contesto nazionale è pieno di nuovi e giovani artisti, band come noi che stanno cercando di raggiungere i propri obiettivi e di togliersi qualche soddisfazione, anche se fosse semplicemente scrivere un album o partecipare a concerti e concorsi.
Simone
Grazie per questa meravigliosa intervista, ma adesso è il momento di parlare dell’album OOPArt!
OOPArt
Il disco esce nel 2014 riscuotendo un discreto successo, la band è formata da Flavio Mattia Marini, 26 anni, chitarra elettrica e voce; Andrea Ruggeri, 26 anni, basso elettrico e voce; Valerio Rossini, 26 anni, batterista.
Solo guardando la copertine dell’album si capisce che stiamo veleggiando verso lo stoner rock, se poi avete l’ardore di ascoltare il primo brano ogni dubbio sparisce. “Rough” esordisce con il basso che parte deciso e profondo, accompagnato da una batteria ben ritmata e dall’acidità della chitarra elettrica. La voce del cantante è perfetta per il genere e la si ascolta piacevolmente, ma ancora meglio è l’assolo che viene a circa metà brano, calcolato proprio al momento giusto.
Subito dopo c’è “Velvet Blues”, dove la doppia voce la fa da padrone raccontandoci un nuovo approccio al genere, e si prosegue con le ritmate “Cleo’s Kaos” e “Jupiter’s Moons”, per poi terminare con un brano il cui titolo lascia poco all’immaginazione, “Tornado”.
Gli OOPArt sono stati una bella scoperta, si sente l’influenza musicale di altri gruppi del genere ma questa è stata ben assorbita e riproposta. Personalmente credo che l’unico neo di questo gruppo sia la voce del chitarrista ancora un po’ acerba su alcune tonalità, ma questo album ha ben tre anni e il nuovo EP sarà sicuramente qualitativamente più alto. Non ho motivo di aspettarmi diversamente, quindi l’unico consiglio che posso darvi è ASCOLTATELI! Sono sicuro che vi piaceranno.