Alice Merton, fenomeno o meteora?
Nell’attesa dell’imminente Festival, fermiamo un attimo la nostra discesa tra le possibili future speranze del pop italiano, per soffermarci sulla rapida ascesa di un nuovo fenomeno pop e del suo atteso album d’esordio: Alice Merton.
Nell’era della famigerata bulimia musicale, è possibile imbattersi in fenomeni che diventano delle superstar ancora prima di emergere qualitativamente. Basta un singolo, un refrain vincente acchiappa-clic e il gioco è fatto. Un meccanismo presente anche in passato, va da sé, ma che oggi ha acquisito un’accelerazione mostruosa. Basti pensare al caso Lykke Li e la sua I Follow Riders, un brano passato quasi inosservato all’uscita dell’album Wounded Rhymes, e solo molto tempo dopo schizzato quasi per magia ai piani altissimi delle classifiche di mezzo mondo. Ancora oggi conta più di 120 milioni di visualizzazioni, mentre la cantautrice svedese è quasi sparita dai radar, monopolizzata dal suo stesso cavallo di battaglia. E se da un lato c’è chi si appresta a diventare fin troppo celermente una meteora di questi anni digitali, dall’altro lato spunta puntualmente una nuova stella nel firmamento pronta a investirci con la luce di un’avvincente melodia pop da ogni stazione radio, media e piattaforma streaming. L’ultima arrivata è Alice Merton. Tedesca, ma con cittadinanza canadese e britannica, classe ’93, la Merton si è imposta sul mercato 3.0 con la potenza di uno tsunami. Il suo primo singolo No Roots ha scalato ogni classifica possibile, diventando ben presto il tormentone del 2017, cedendo poi a sua volta il testimone alla successiva Lash Out, hit altrettanto cliccata. Una doppietta al fulmicotone che ha imposto all’istante la giovanissima Merton sul mercato discografico, alimentando un’incredibile richiesta continentale, tra concerti, interviste e ospitate televisive. Del resto, 300 milioni di streaming non si raccolgono ogni giorno. E così, tra un set fotografico e l’altro, un videoclip e uno spot pubblicitario, la cantante anglo-tedesca ha dovuto faticare non poco per ritagliarsi il tempo necessario utile a stendere il primo Lp. Un paradosso, a pensarci bene. Un frutto cresciuto troppo in fretta e che potrebbe cadere dall’albero giusto, diventando humus per la terra, con la stessa velocità con il quale si è sviluppato.
Tuttavia, Alice Merton si è rivelata tutt’altro che una sprovveduta o una meteora dalla corta scia, e a due anni di distanza dal primo successo planetario, ha ben pensato di chiudersi in studio, supportata dal fidato Paul Grauwinkel, fondando financo un’etichetta tutta “sua”, la Paper Plane, con lo scopo di prodursi da sola e in piena autonomia l’attesissimo debutto. E non è un caso che l’avvio di questa nuova esperienza sia alla base di questo suo primo lavoro, come lei stessa dichiara nel comunicato ufficiale di presentazione:
Alcune parlano del crescere, del lungo girare, ma molte altre raccontano le difficoltà che abbiamo avuto iniziando con la label, quando ci si trova a dimostrare a tutti quanto vali.
Un’urgenza espressiva, dunque, figlia sia della necessità di esporre a tutti il proprio effettivo valore, sia dall’inesperienza nel campo costantemente minato dell’industria discografica. Eppure, con Mint la talentuosa pop-singer ha alzato la posta in gioco, puntando su testi autobiografici e uno stile che la rivede nelle vesti dell’interprete funk mielosa e della superstar disimpegnata, tra un giro di basso alla Gossip e una ripartenza pop/r’n’b micidiale, come accade nella seconda metà del piatto nella dinamica I Don’T Hold A Grudge, prima che una ballad strappalacrime come Honeymoon Heartbreak riassesti i cuori infranti, con il consueto refrain facile e immediato pronto a risalire la cima delle Alternative Songs Chart di Billboard negli Stati Uniti e delle Top Ten europee. Un modus operandi che si interseca nei meandri di quel pop perennemente leggero, energizzato dal basso pulsante e in primo piano. Ritmo trascinante e senza eccessive contorsioni. E un’immediatezza disarmante, quella di Alice Merton. Un’inclinazione ultra pop che mostra traccia dopo traccia un’innata propensione al giretto melodico giusto per le masse. Canzoni che sembrano note da una vita, come Why So Serious, un episodio che scimmiotta i detrattori dello star-system musicale che non sono ancora riusciti a fermarla. Una risposta irriverente alle critiche piovute come sassi a destra e a manca dopo l’inatteso successo. Ascoltando l’incipit di Trouble In Paradise viene quasi da chiedersi quanto potrebbe sostare nelle radio e nella top 100, visto il passo simile alla primissima super hit. Ma è ancora presto per tirare le somme, e solo il tempo potrà dirci quanto sia effettiva la sostanza di questa talentuosa venticinquenne. Al momento, non resta che assistere all’irresistibile ascesa dell’ennesimo “fenomeno” pop mondiale. Un avvento, inoltre, poco pianificato e per questo a suo modo ancora più interessante.
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