Una storia d’amore lunga oltre quarant’anni
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Il napoletano, ma beneventano d’adozione, Mario Giammetti è uno dei massimi esperti dell’universo Genesis, una delle formazioni di progressive-rock più amate dal pubblico italiano. Alla band inglese ha dedicato, a partire dal 1991, la fanzine Dusk, accompagnata, durante gli anni, dalla pubblicazione di una quindicina di libri. Lo abbiamo intervistato per voi.

Francesco Nunziata

Sei tra i massimi esperti dei Genesis, una delle formazioni prog più amate in assoluto. Come nacque questa tua passione per la band inglese?

Mario Giammetti

In realtà li ho veramente conosciuti piuttosto tardi, nel 1978. Era il periodo in cui Steve Hackett li aveva appena lasciati e il trio superstite pubblicò And Then There Were Three. So che per molti, almeno qui in Italia, potrà sembrare blasfemo, ma quel disco mi fece letteralmente sobbalzare dalla sedia. Amavo la musica fin da quando ero piccolo, ma in quell’album mi ritrovai completamente a livello musicale, mi catturò incondizionatamente. Prima di allora, avevo avuto modo di ascoltare nel 1973, tramite un juke-box di Silvi Marina, in Abruzzo, la versione editata di Watcher Of The Skies grazie alle 100 lire investite da un ragazzo di Alessandria più grande di me. Mi aveva colpito l’atmosfera, ma non ebbi modo di approfondire. Da ragazzino, i soldi in tasca erano sempre pochi e dunque bisognava arrangiarsi.

Francesco Nunziata

Se non erro, hai scritto una quindicina di libri dedicati ai Genesis. Qual è stato il primo? Qual è quello a cui sei più legato? E quello che ti è costato più fatica?

Mario Giammetti

Il primo è stato Genesis Story, del 1988. Erano ormai una decina di anni che seguivo il gruppo. Mi ero procurato tutte le discografie solistiche e avevo ovviamente la splendida biografia di Armando Gallo. Pensavo però che i Genesis meritassero anche una guida critica e, sebbene non avessi alcuna esperienza, buttai giù un primo manoscritto che spedii alle due case editrici principali dell’epoca, se non le uniche. Fu mio padre ad avvisarmi che aveva telefonato qualcuno dalla Gammalibri / Kaos. Richiamai il giorno dopo e, dopo un breve confronto telefonico, mi misi sotto e riscrissi il tutto negli ultimi mesi del 1987. Partii alla volta di Milano nel mese di aprile del 1988 per correggere le bozze insieme al titolare della casa editrice, Domenico. E il mio libro fu pubblicato nel mese di giugno dello stesso anno.

Sono legato a tutti i miei libri perché ciascuno racconta una storia. Quello su Peter Gabriel, per esempio (Il trasformista, Arcana), è uscito solo nel 1999 perché la nascita di mio figlio nel 1995 provocò un consistente ritardo (cosa per me del tutto inusuale, essendo uno che, invece, rispetta sempre le scadenze).

La collana ‘Genesis Files’, da un’idea di Piero Mantero, il boss di Edizioni Segno, è invece un’iniziativa unica in tutto il mondo: un volume per ciascun membro dei Genesis contrassegnato da una lettera sul bordo, di modo che, una volta messi tutti e sette in fila in libreria, si compone il logo della band usato per l’album Duke. Portarla a termine, anche se ci sono voluti 11 anni (dal 2005 al 2016) è motivo di grande orgoglio.

In termini qualitativi, penso però che i migliori siano gli ultimi due sul gruppo. In Musical Box – Le canzoni dei Genesis dalla A alla Z (Arcana, 2010) racconto tutti i brani della storia del gruppo in ordine alfabetico con grande dettaglio storico, critico, aneddotico e statistico, per un totale di oltre 500 pagine. Su Genesis – Gli anni prog (Giunti, 2013), invece, mi limito al periodo più amato in Italia, quello con Peter Gabriel cantante. La caratteristica di questo volume (oltre alla grafica splendida, come da tradizione dell’editore fiorentino) è che, sostanzialmente, sono i Genesis stessi a raccontare i sei album del periodo 1969/74, il mio compito è quello di mettere in ordine i loro pensieri sparsi. Ho avuto modo di ascoltare quei dischi spalla a spalla con alcuni di loro (Phillips, Hackett e Banks) e il libro è costituito esclusivamente da interviste rilasciate a me e al giornalista inglese Mike Kaufmann (parte delle quali era finita nei video allegati alle ristampe del 2008). Pertanto, tutto le dichiarazioni rilasciate dai Genesis e utilizzate ne Gli anni prog è inedito al 100%.

Francesco Nunziata

Hai dedicato anche un volume a ogni membro della band. Ci definisci, in poche parole, la personalità di ognuno di loro?

Mario Giammetti

Le personalità musicali credo siano note, basterà ricordare che i Genesis sono, in tutta la storia del rock, il gruppo in assoluto più coeso a livello di composizione. Su questo piano, nessun’altra band è in grado di rivaleggiare con loro. Persino i Beatles e gli Stones hanno avuto membri che, a livello creativo, hanno contato poco o niente, pur dando il loro contributo strumentale; nei Genesis, sono stati sempre tutti coinvolti al 100%, tanto che, come ho sempre detto, non è mai esistito un leader assoluto, a dispetto delle apparenze. Il che si è ovviamente tradotto nelle importanti, rispettive carriere soliste.

Le personalità umane sono altrettanto interessanti e ci vorrebbe troppo spazio per approfondirle. Sinteticamente, i quattro fondatori mantengono quella natura tipicamente inglese abbastanza chiusa dovuta a un’educazione estremamente rigida conseguita in un severo college del Surrey. Tony Banks e Mike Rutherford restano a tutt’oggi due gentiluomini di campagna, lontani anni luce dagli eccessi tipici delle rockstar (anche se il secondo qualche peccatuccio lo ha confessato nella sua autobiografia). Il percorso di Peter è ovviamente stato diverso in virtù del ruolo da frontman, tuttavia rimane ancora adesso, faccia a faccia, un signore timido e introverso che ha chiaramente forzato la sua personalità per esigenze artistiche. Il più singolare di tutti è Anthony Phillips: anche se la sua parabola artistica (lasciò i Genesis per la paura da palcoscenico) farebbe pensare a un musone, in realtà, dei quattro ex allievi della Chartehouse, è di gran lunga il più estroverso, una persona incredibilmente divertente e ironica, ma anche estremamente sensibile. Steve Hackett e Phil Collins vengono da situazioni meno aristocratiche, dunque sono sicuramente, di primo acchito, più alla mano. Specie il batterista, il cui carattere allegro ed espansivo ebbe un ruolo determinante nel tenere in piedi il precario vascello Genesis dei primi tempi. Chiaro che, con la fama enorme raggiunta e, soprattutto, con le varie disavventure personali (sia familiari che di salute), il Phil di oggi sia molto diverso. Steve è un sognatore che vive per la musica, ma anche una bella persona, molto generosa e sempre pronta a farsi coinvolgere in ogni situazione per amore dell’arte. Infine il meno titolato di tutti, Ray Wilson, scozzese di nascita, tedesco di adozione, polacco di residenza. Molto più giovane degli altri e con un retroterra working class, Ray è stato però condizionato, a livello di personalità, dal passaggio troppo breve nei Genesis (e soprattutto dall’ingeneroso trattamento ricevuto), che per un certo periodo lo ha fatto piombare nella depressione.

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Francesco Nunziata

Nel 1991, fondasti la fanzine “Dusk”, dedicata al mondo dei Genesis e attiva ancora oggi. Come la realizzavi, allora? Da dove prendevi le informazioni che ti servivano?

Mario Giammetti

Dai giornali. Non c’era altro. Ero anche abbonato al Melody Maker, il leggendario settimanale inglese. Ma devo dire che sono riuscito molto presto a creare contatti con alcuni membri dei Genesis o i loro management, il che ha aiutato.

Francesco Nunziata

Com’è cambiata, durante gli anni, “Dusk”?

Mario Giammetti

La cosa che più è cambiata riguarda l’aspetto pratico. Internet è stato ovviamente una rivoluzione, permettendo, per esempio, ai collaboratori di scrivere sul proprio pc e mandarmi gli articoli via e-mail (fino a un certo punto, dovevo ricopiarli uno per uno!). Allo stesso tempo, tante foto sono arrivate direttamente dalla rete o quantomeno già digitalizzate, rendendo molto più semplice la lavorazione. La rete ha ovviamente favorito anche i contatti con musicisti e personaggi tangenziali legati al mondo Genesis: un tempo bisognava fare ricerche incredibilmente lunghe e complicate, oggi puoi trovare (non sempre, sia chiaro) un sito di riferimento o un profilo Facebook cui inviare la tua richiesta. A parte questo, non è cambiato poi così tanto. Devi tener presente che Dusk è nata nel 1991, cioè ben tre anni dopo l’inizio della mia collaborazione con Ciao 2001. Quindi non mi sono mai comportato da fanatico, semmai da giornalista prestato al mondo delle fanzine, e non è una differenza da poco: ho sempre scritto i miei articoli con un approccio critico e rigoroso e l’unica concessione allo status di fanzine è stato sugli spazi, nel senso che non mi sono fatto condizionare da quel (pur comprensibilissimo) limite a livello di ingombri che qualunque rivista che va in edicola ha. Ai dischi e ai concerti abbiamo sempre dedicato lo spazio che era necessario, fregandocene di quante pagine avremmo occupato.

Col tempo, naturalmente, grazie un po’ ai mezzi informatici sempre più ampi e un po’ alle competenze acquisite dalla maggior parte dei fantastici collaboratori che abbiamo, la qualità è andata ulteriormente migliorando. Dusk è una rivista a tutti gli effetti dal 2007, con tanto di registrazione al tribunale e un direttore responsabile (io, iscritto all’ordine dei giornalisti pubblicisti dal 1993) e mi sento di dire con totale onestà che non abbiamo niente da invidiare alla maggior parte delle riviste vendute in edicola (talvolta, semmai, accade il contrario).

Francesco Nunziata

Quando hai visto per la prima volta dal vivo i Genesis?

Mario Giammetti

Il 7 settembre 1982, al Palaeur di Roma. I Genesis mancavano dall’Italia da ben sette anni, dai tempi di The Lamb, quando io non li conoscevo e, comunque, ero troppo piccolo. Quando si spensero le luci e vidi quelle figure salire sul palco provai una grande emozione, come puoi immaginare. Ma mi ero preparato bene: l’anno prima, nel 1981, avevo visto un concerto meraviglioso di Steve Hackett sempre a Roma, a Castel Sant’Angelo, e nel 1980 un concerto ancora più bello di Peter Gabriel alle Cascine di Firenze, con i Simple Minds come gruppo spalla.

Francesco Nunziata

Anch’io, come molti appassionati di musica, da ragazzo mi sono avvicinato alla musica progressiva, affezionandomi soprattutto ai Genesis. Ricordo che all’epoca (siamo intorno al 1994) per avere più informazioni comprai anche il tuo Genesis Discografia 1968-1993, un libro che praticamente divorai. Secondo te, perché tra gli appassionati di progressive i Genesis sono tra i più amati, al di là di mere questioni legate alla qualità della musica?

Mario Giammetti

Non penso vi siano ragioni diverse da quelle strettamente artistiche. Anche se non sono stati certo i primi a fare progressive, credo che i Genesis abbiano dimostrato di avere una marcia in più e, soprattutto, una qualità melodica che li ha resi più digeribili, sulla lunga distanza. Se provi a pensare alla rinascita del movimento prog nei disastrosi anni 80, penso converrai con me che i Genesis sono stati il primo modello di riferimento per i nuovi gruppi.

Francesco Nunziata

Il 19 aprile del 1972, nell’ambito del Nursery Cryme tour, i Genesis suonarono anche a Napoli, per la precisione al Teatro Mediterraneo all’interno della Mostra d’Oltremare. Alloggiarono all’Hotel Domitiana, sul cui tetto la band ebbe l’ispirazione per comporre Watcher Of The Skies, uno dei loro brani più famosi. Da allora è come se tra Napoli e i Genesis si fosse instaurato un rapporto profondissimo: sono tantissimi, infatti, i loro fan che ho conosciuto nelle mie zone…

Mario Giammetti

Sono anch’io campano come te, ma non mi sento di sposare più di tanto la tua teoria. Se faccio riferimento alla mia rivista Dusk, per esempio, gli associati campani sono veramente una sparutissima minoranza rispetto a quelli di Roma, Milano o di regioni come il Veneto. Napoli, come sappiamo, ha un bacino musicale di immenso valore che però è stilisticamente, con le dovute eccezioni (vedi Osanna), piuttosto distante dal progressive. È vero, però, che la memoria dei fortunati che assisterono al concerto del 1972 che citi, e ancor più quello del 1974 al Palasport (quando la band promuoveva Selling England By The Pound e Gabriel si era già trasformato in uno straordinario frontman) è tuttora vivissima e circondata da una più che giustificata aura di leggenda.

Francesco Nunziata

Musicalmente parlando, sei stato battezzato dal progressive o ci sei arrivato solo in un secondo momento?

Mario Giammetti

La musica è sempre stata molto presente nella mia famiglia. Un mio zio materno ha fatto il cantante e l’attore di professione (lavorando prevalentemente all’estero) e io mi perdevo ascoltando le cassette dei miei fratelli maggiori, che suonavano anche in diversi gruppi beat. I miei primi idoli, ancora bambino, sono stati complessi come i Giganti e gli inglesi Rokes, poi, dopo una inevitabile infatuazione adolescenziale per Baglioni e Battisti, sono andato fuori di testa per i cantautori. Venditti, De Gregori, Guccini e Lolli erano i miei preferiti. La morte di Claudio Lolli, qualche mese fa, mi ha colpito molto, molto più di quelle di Emerson, Lake o Wetton. Contemporaneamente ai cantautori apprezzavo band inglesi come i Pink Floyd e italiane come Orme, PFM e New Trolls, quindi, in qualche modo, il prog (che allora non si chiamava così) era già dentro di me, stava solo aspettando di farsi strada.

Francesco Nunziata

Il mio disco preferito dei Genesis è The Lamb Lies Down On Broadway, all’epoca portato in tour con un grande dispiegamento di mezzi. Peccato che nessuno si prese la briga di mettere mano a un documento visivo degno di tal nome. Su Youtube circola un video messo a punto da alcuni appassionati con spezzoni e foto dell’epoca…

Mario Giammetti

The Lamb è certamente un disco seminale in tutta la storia del rock, anche perché unico, per sonorità e contenuti, persino nella stessa parabola dei Genesis. Non si è mai capito bene per quale ragione non sia mai stato filmato professionalmente. Si dice sia dipeso da una decisione di Gabriel, che aveva concepito la storia e messo giù l’idea di base dello spettacolo, ma sono più propenso a pensare che, invece, semplicemente il gruppo (peraltro in un momento di grande tensione interna, che avrebbe portato subito dopo all’addio del cantante) non disponesse dei mezzi economici per commissionare una cosa del genere. La vera fama, come è noto, sarebbe arrivata solo in seguito.

Francesco Nunziata

Quali sono i tuoi tre dischi preferiti dei Genesis e perché?

Mario Giammetti

Credo che il trittico 1971/73 (Nursery Cryme / Foxtrot / Selling England By The Pound) sia la quintessenza del miglior progressive inglese in assoluto, quindi probabilmente sono questi tre i migliori. Tuttavia, detto di The Lamb, personalmente adoro altrettanto Trespass, un album pastorale e bucolico, con incursioni nel folk e quelle incredibili chitarre a 12 corde, un’invenzione di Anthony Phillips in combutta con Mike Rutherford. E naturalmente i primi due dischi senza Gabriel sono splendidi.

Francesco Nunziata

Quale loro disco è quello più sottovalutato dalla critica e dai fan, secondo te?

Mario Giammetti

We Can’t Dance. Con le banalità che ho avuto modo di sentire e di leggere su questo disco si potrebbe pubblicare ‘Il manuale dei luoghi comuni’. Molti di quelli che si sono presi la briga di ascoltarlo (perché c’è anche chi, invece, ha sparato sentenze senza neanche averlo davvero sentito) si sono fermati a una prima e fallace impressione, inventandosi una dipendenza da Phil Collins (in realtà inesistente: tutti gli album dei Genesis, da Abacab in poi, sono nati da improvvisazioni dei tre in sala prove), criticando le sonorità (ma ogni disco è figlio del suo tempo: cosa si dovrebbe dire, allora, dell’ipersintetico Invisible Touch?) e ignorando invece l’eccellente fattura di buona parte delle canzoni e anche delle innovazioni compositive e stilistiche, per non parlare di testi finalmente maturi e calati nella realtà.

Francesco Nunziata

Immagina di fare una compilation di brani dei Genesis da regalare a un amico. Quali scegli?

Mario Giammetti

Più che farti un elenco di canzoni, valido in questo momento ma magari non più domani, ti dico che sicuramente farei una selezione che attinge a tutta la loro carriera e non soltanto alla giustamente celebrata era prog. Pur facendo anche io parte di coloro che prediligono il repertorio degli anni 70, trovo che i Genesis abbiano saputo mantenersi vivi e vitali fino alla fine e qualunque loro disco contiene qualcosa di molto interessante. L’ho già detto altre volte, ma pensare che tutta l’era Gabriel sia oro e tutta l’era Collins immondizia dimostra solo un ascolto superficiale, perché ci sono canzoni inutili anche nel primo periodo e capolavori anche nel secondo.

Francesco Nunziata

Negli anni Settanta e, a conti fatti ancora oggi, la musica dei Genesis fu apprezzata più in Italia che nella natia Inghilterra. Ci sono motivi particolari?

Mario Giammetti

Direi sostanzialmente due. Primo, la musica dei Genesis (come quella di altri artisti apprezzati da noi prima che in patria, pensa ai Van Der Graaf e ai Gentle Giant) conteneva dei ganci classicheggianti che l’ascoltatore italiano aveva forse la capacità di apprezzare più di un inglese, in quanto la musica classica fa parte del nostro DNA e la nostra storia è piena di musicisti di immenso talento e gusto. I fan inglesi, ovviamente ben più avanti sul rock ma forse più portati verso il beat e il British blues, avrebbero colto i cambiamenti in atto con un po’ di ritardo. La seconda ragione, sempre a mio modo di vedere, è più a livello culturale. I primi anni 70 italiani erano colmi di tensioni sociali, ma i giovani di allora disponevano di un’invidiabile apertura mentale e provavano il desiderio di abbracciare nuove esperienze. Conseguentemente, ponevano la massima attenzione verso questi nuovi fenomeni musicali, ascoltando in religioso silenzio e applaudendo quando bisognava applaudire, in controtendenza al pubblico britannico che, all’epoca, era forse più propenso all’idea della musica come arte liberatoria, associata al movimento del corpo oppure a un boccale di birra. La musica sofisticata dei Genesis non poteva trovare, in quel momento storico, un pubblico più attento e ricettivo di quello italiano, come i membri della band hanno peraltro sempre riconosciuto.

Francesco Nunziata

Durante gli anni, molte band italiane hanno cercato di riprendere/riprodurre le sonorità della band di Peter Gabriel e Phil Collins. Quali sono quelle che, a tuo avviso, sono riuscite a farlo con una certa personalità?

Mario Giammetti

Non credo che i Genesis era Collins abbiano avuto una grande influenza, mentre ovviamente quelli dell’era Gabriel, come si diceva prima, sono stati il modello di riferimento di una vera e propria rinascita del movimento prog. Non mi sento di farti i nomi di band, italiane o straniere che siano, che meglio abbiano saputo riprendere quelle sonorità, anche perché personalmente non apprezzo i cloni, dichiarati o no.

Francesco Nunziata

Come valuti l’esperienza dei Marillion, la formazione che, agli inizi degli anni Ottanta, diede un decisivo impulso al fenomeno del cosiddetto “neo-prog” proprio rifacendosi, a tratti in maniera quasi “scandalosa” (se mi passi l’aggettivo!), alle sonorità dei Genesis?

Mario Giammetti

Va dato atto ai Marillion degli anni 80 di aver saputo ben intercettare il bisogno di certe sonorità, diventato impellente per tutti i reduci dagli anni 70 che, all’improvviso, si ritrovavano sommersi da sintetizzatori e drum machine. In quel momento eravamo tutti più fragili ed eravamo disposti a passare sopra certe vere e proprie citazioni non autorizzate (vedi Grendel, quasi una cover non dichiarata di Supper’s Ready) pur di poterci cullare di nuovo in certe atmosfere, oltretutto cantate da una voce splendida come quella di Fish. Più avanti il gruppo ha dimostrato di avere però la sua personalità, anche e forse soprattutto nel periodo con Steve Hogarth, e del resto non si resiste nello show business tanto a lungo se non si ha qualcosa da dire.

Francesco Nunziata

Dal 2014, sei collaboratore fisso di Classic Rock. Scrivi, inoltre, anche su Vinile. A tuo avviso, nell’epoca dei social-media, del download selvaggio, di Spotify e di altre piattaforme digitali per ascoltare la musica, ha ancora senso fare critica musicale?

Mario Giammetti

Essendo di un’altra generazione, per me la critica era fondamentale. Ho iniziato a comprare regolarmente riviste musicali a metà degli anni 70 e non ho mai smesso. Non essendo un ascoltatore della radio (purtroppo, per una questione generazionale, mi ero perso la stagione magica di ‘Per voi giovani’ e ‘Popoff’), mi lasciavo guidare proprio dalle riviste che acquistavo, soprattutto Ciao 2001, Popster e Rockstar. Se quello che leggevo mi incuriosiva, appena possibile andavo ad acquistare un disco. È in questo modo che ho conosciuto band come U2, Smiths, Cure, R.E.M., Alarm, Big Country e tante altre. A volte condividevo quello che avevo letto, a volte no. Ma tutto contribuiva a far crescere la mia conoscenza musicale, insieme all’avida lettura dei libri musicali che uscivano. Quando ero ragazzo, i dischi si compravano, si scartavano delicatamente, la copertina veniva scrutata nei minimi particolari, le note si divoravano e si assimilavano, il vinile si registrava su cassetta per non rovinarlo. C’era tutto un rituale e le recensioni erano altrettanto capillari. Negli anni, durante alcune interviste con artisti italiani degli anni 70, più d’uno, parlando con me, ha tacciato di scarsa competenza la critica musicale di allora, ma io non sono per niente d’accordo. Non ho mai pensato che, per analizzare un disco, sia necessario avere una preparazione teorica musicale. Le competenze si acquisiscono affinando l’ascolto e con la lettura, e se vado a rileggere le recensioni lunghissime di un Enzo Caffarelli su Ciao 2001 le trovo interessanti ancora oggi, al di là di errori di valutazione e qualche inevitabile ingenuità (non c’era Google per controllare se si stava scrivendo una fesseria).

Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. Gli spazi si sono progressivamente ridotti, attribuendo al materiale fotografico fin troppa importanza, fino a far diventare il testo quasi un inutile orpello, tanto da assegnare ai recensori un numero di battute ridicolo che non basta neanche a inquadrare il personaggio. Intanto si accumulano dischi su dischi da recensire, con i tempi e le modalità che conosciamo: nessuno scrive più con il vinile o il cd fisico in mano, ci si deve accontentare di ascolti pessimi (MP3 o l’indecente streaming), di cartelle stampa sintetiche e, tranne qualche lodevole eccezione, senza un booklet informativo che permetta di entrare nel progetto anche ammirando la grafica. Anche il linguaggio è cambiato e si cerca di colpire il lettore in altro modo, ma è oggettivamente sempre più difficile e non è così raro, a mente fredda, rendersi conto di non aver valutato correttamente un album in quanto ascoltato troppo frettolosamente. Ma tant’è, e non c’è niente che possa invertire il trend.

In sintesi, per come la vedo io, far critica musicale ha assolutamente ancora un senso, ma bisognerebbe anche avere i mezzi, gli spazi e i tempi per poterlo fare bene.

Francesco Nunziata

Hai in progetto nuove pubblicazioni legate all’universo dei Genesis?

Mario Giammetti

Sì, al momento ci sono diverse ipotesi in campo, ma l’una è intrecciata all’altra e quindi è prematuro parlarne.

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