Richard & Mimi Fariña

Una delle esperienze più interessanti del folk-revival americano dei primi anni Sessanta fu quella dei coniugi Fariña. Durò appena un biennio, eppure lasciò in eredità un paio di dischi che sarebbe davvero un peccato continuare a lasciare nel dimenticatoio.

Mimi Baez era nata a Palo Alto, in California, il 30 aprile del 1945. Influenzata dalla passione musicale della sorella maggiore Joan, imparò a suonare violino e chitarra, spesso esibendosi insieme a Joan dinanzi a un piccolo pubblico di familiari. Anche Mimi amava cantare, ma si rese subito conto che non era all’altezza della sorella, e quindi preferì innanzitutto approfondire lo studio di quegli strumenti. L’incontro che le cambiò la vita fu quello con Richard Fariña, scrittore in erba di origini newyorkesi (nella Grande Mela era, infatti, nato l’8 marzo del 1937). Spirito ribelle e anticonformista, cacciato dall’università per aver preso parte a una manifestazione volta a contrastare le regole fin troppo repressive che ne regolavano la quotidianità (molta dell’atmosfera di quel periodo sarà da lui trasfigurata nel suo unico romanzo, Been Down So Long It Looks Like Up To Me, pubblicato nel 1966 grazie all’appoggio dell’amico scrittore Thomas Pynchon e tradotto in Italia con il titolo Così giù che mi sembra di star su), all’alba degli anni Sessanta, proprio quando il fenomento del folk-revival stava ingranando, Richard Fariña prese a frequentare assiduamente la scena del Greenwich Village, entrando in contatto con numerosi personaggi, tra cui anche un giovanissimo Bob Dylan, incontrato durante le sedute di registrazione del terzo disco della cantautrice Carolyn Hester, che da poco era diventata la signora Fariña.

Nel frattempo, Richard si era appassionato al dulcimer, uno strumento a corde dall’accentuata timbrica mediorientale che, in pratica, rappresentava un’evoluzione del salterio, un antico strumento risalente almeno al IV sec. a.C.. Proprio servendosi del dulcimer, Richard aveva incominciato a musicare alcune sue poesie, mettendosi in testa di diventare un cantautore. Fu proprio inseguendo quel sogno che, all’inizio del 1962, volò alla volta di Londra. Nella capitale inglese, riuscì a farsi un certo nome in quei pochi folk club che davano spazio ai cantautori in erba. Raggiunto dalla moglie, Fariña vide andare in pezzi il suo matrimonio quando, durante una gita in quel di Parigi, incontrò Mimi, da poco trasferitasi nella capitale francese al seguito della famiglia. Tra i due fu amore a prima vista. Per circa un anno, si scrissero lettere appassionate. Poi, una volta ottenuto il divorzio dalla Hester, le propose di sposarlo. Lo fecero in gran segreto, perché i genitori di Mimi non si fidavano molto di quell’eccentrico personaggio che, mentre coltivava ambizioni di romanziere, stava anche tentando la strada del successo musicale.

Una strada che Richard aveva cominciato a percorrere con Dick Fariña & Eric Von Schmidt, un Lp registrato nel gennaio del 1963 a Londra, nel negozio di dischi Dobell’s Jazz Record Shop, e immesso sul mercato, su etichetta Folklore Records, qualche mese dopo (per la cronaca, Dick era il nomignolo con cui gli amici chiamavano affettuosamente Richard). Nelle quattordici tracce che compongono la scaletta del disco, Richard si cimentò, insieme al connazionale Von Schmidt, (che si era fatto un certo nome come cantautore e pittore nel circuito folk del Greenwich Village), con brani a cappella (“Johnny Cuckoo”), dance-song (il medley di “Old Joe’s Dulcimer”), canzoni di lavoro (“Jumping Judy”) e numeri blues (“Cocaine”, dal repertorio del Reverendo Gary Davis, e “You Can Always Tell”, ispirata a “Dry Land Blues” di Furry Lewis). Tre i brani autografi e tutti firmati da Richard: “Xmas Island”, “Stick with Me Baby” e “London Waltz”, acerbi esercizi al confine tra folk e blues.

Dopo essere tornati in patria, i due novelli sposi andarono a vivere in California, condividendo anche le loro passioni musicali. Cominciarono, quindi, a esibirsi insieme, dapprima dinanzi a gruppi di amici e, quindi, debuttando nel 1964 al Big Sur Folk Festival dove, davanti a circa mille spettatori, suonarono tre brani, gli unici che erano riusciti a provare a dovere nelle settimane precedenti: “Pack Up Your Sorrows”, “The Falcon” e “Birmingham Sunday”, quest’ultima accompagnata anche dal canto di Joan Baez. Nonostante la brevità del set, il giorno dopo i coniugi Fariña furono contattati da Jac Holzman, che offrì loro un contratto con la Elektra. «Li volevo assolutamente», racconterà lo stesso Holzman. «Erano dinamici, Mimi era ipnotica e immensamente musicale, e Richard… era carismatico. Sembrava un folletto, spiritoso, ed era un ottimo scrittore, davvero un ottimo scrittore. Dove passava lui le cose splendevano. Vicino a lui tuti si sentivano meglio, perché teneva sempre in movimento la situazione. Teneva tutto in animazione.»1

C’era un problema, però: quando Richard si era messo in testa di diventare un cantautore, era riuscito a strappare una mezza promessa alla Vanguard, la stessa etichetta della cognata Joan Baez. Così, con grande dispiacere di Holzman, alla fine i due firmarono per l’etichetta newyorkese. In un paio di settimane circa dell’autunno del 1964, negli studi Olmstead di Manhattan, furono registrati, quindi, i brani di Celebrations for a Grey Day, primo disco del duo pubblicato nell’aprile dell’anno successivo. Lavoro per l’epoca molto coraggioso, costruito attraverso un mix di blues, folk, musica della tradizione irlandese e mediorientale, Celebrations for a Grey Day riflette anche il rapporto, molto libero, che Richard aveva instaurato con il dulcimer, uno strumento che, dialogando con la chitarra acustica di Mimi (che spesso utilizzava accordature modali e alternava arpeggi e strimpellìi, secondo quanto aveva appreso a Parigi, ascoltando molti musicisti di strada, alcuni dei quali anche di origine algerina), dà vità a quello che, all’epoca, Robert Shelton del «New York Times» definì come «un suono raga di stampo americano.»2

Aperto dalla briosa solarità di “Dandelion River Run”, il disco regala subito uno dei momenti più magici del duo con la malinconia dolceamara di “Pack Up Your Sorrows”, ipnotizzandoci, quindi, con la melodia circolare e gli intrecci vocali di “Michael, Andrew and James”, la cullante “Another Country” e costringendoci, dunque, a battere il piede durante “One-Way Ticket” che, grazie all’aggiunta di pianoforte, basso e chitarra elettrica, rappresenta, insieme alla più vibrante e minacciosa, “Reno Nevada”, uno dei primissimi esempi di maturo folk-rock elettrico, ancor prima che Dylan ne facesse una ragione di vita. Tra gli strumentali, ecco le trame cristalline di “Tommy Makem Fantasy”, le infatuazioni american primitivism di “Dog Blue”, le danze medievaleggianti della title-track, “Hamish” e “V.” (con Bruce Langhorne alle percussioni) e, per finire, i fraseggi spediti di “Tuileries”.

Nell’estate successiva, il duo partecipò al Newport Folk Festival, suonando sotto la pioggia poco prima che Dylan scandalizzasse il pubblico presentandosi sul palco con una chitarra elettrica. A dicembre, pubblicarono invece il loro secondo disco, Reflections in a Crystal Wind, che riduceva da sette a quattro il numero degli strumentali, uno dei quali, “Miles” (omaggio al grande trombettista jazz), faceva registrare il primo tentativo autografo di Mimi.
Questo nuovo lavoro approfondiva quanto proposto dai due su Celebrations for a Grey Day, presentando brani più omogenei ma complessivamente meno affascinanti. Tuttavia, anche questi solchi riuscirono a dare ancora il senso di una consapevole e creativa operazione di attraversamento della materia folk, in qualche caso (come, ad esempio, nella pachanga3 afro-indiana dello strumentale “Dopico”) tentando ancora particolarissimi commistioni sonore. Al centro del disco, nel quartetto “Sell-Out Agitation Waltz”, “Hard-Loving Loser”, “Mainline Prosperity Blues” e “House Un-American Blues Activity Dream”, domina comunque il blues, declinato con gusto folk-elettrico, nel solco del Dylan di Bringing It All Back Home, disco che era stato pubblicato nove mesi prima. Altrove, invece, la magia del folk sta tutta negli intrecci strumentali e vocali: così, se “Bold Marauder” è dominato da un feeling drammatico e “Children Of Darkness” assomiglia a una ninna-nanna, sia “A Swallow Song” che “Raven Girl” vivificano dentro scenari musicali carichi di misteriosa desolazione.
Al disco, oltre al solito Bruce Langhorne e ad altri sessionmen, partecipò il futuro produttore dei Cream, Felix Pappalardi (al basso elettrico in un paio di brani).
“Bold Marauder” e “House Un-American Blues Activity”, insieme alla ballata “Birmingham Sunday” (rievocazione della strage, causata da una bomba del Ku Klux Klan, nella Chiesa Battista di Birmingham in Alabama, in cui, accanto a ventidue feriti, morirono quattro bambine tra gli undici e i quattordici anni), erano già stati resi disponibili, qualche mese prima, sulla compilation della Elektra Singer Songwriter Project, in cui comparivano anche brani dei cantautori Patrick Sky, Bruce Murdoch e David Blue.

Quando tutto sembrava aver preso una direzione precisa, l’avventura dei coniugi Fariña fu costretta a fare i conti con i capricci del destino. Il 30 aprile del 1966, i due erano piuttosto euforici, visto che il primo romanzo di Richard era stato da poco pubblicato e Mimi compiva, proprio quel giorno, ventuno anni. All’una di quel giorno era prevista una presentazione del libro alla Thunderbird, una libreria della Carmel Valley, la zona in cui i due si erano stabiliti fin da quando erano tornati dall’Europa. Richard fu brillante e affabile: firnò numerose copie e scambiò molte chiacchiere con gli amici e le altre persone che erano andate a sentirlo parlare del suo romanzo. Quel pomeriggio, egli volle anche festeggiare il compleanno della moglie con una festa a sorpresa preparata insieme a Pauline, l’altra sorella di Mimi. Poco prima che calasse la sera, Richard andò a fare un giro con la Harley Davidson Sportster di Willie Hinds, uno degli invitati della festa. I due si lanciarono lungo le strade della Carmel Valley. Fu l’ultimo viaggio di Richard, sbalzato dalla moto in prossimità di una curva, alla fine della quale la stessa andò a schiantarsi contro un recinto di legno.

Con la morte di Richard Fariña se ne andava uno dei protagonisti più interessanti del folk-revival americano. Mimi cercò, senza molta convinzione, di intraprendere una carriera solista, registrando, nell’immediato, un paio di brani del defunto marito, “Quiet Joys of Brotherhood” e “Morgan the Pirate”, che finirono su Memories, disco che raccoglieva anche registrazioni dal vivo, singoli e outtakes provenienti dall’esperienza del duo. In copertina, la bellissima Mimi è colta in uno scatto che la ritrae immersa in un campo e con un fiore in mano. Guarda nell’obiettivo e sorride, ma il suo è un sorriso colmo di tristezza.
Impreziosita dagli arrangiamenti orchestrali di Peter Schickele (che aveva già collaborato con la sorella Joan), “Quiet Joys of Brotherhood” apre il disco con le sue arcane atmosfere di matrice irlandese (Richard, infatti, l’aveva scritta prendendo in prestito la melodia di “My Lagan Love”, un brano tradizionale dell’Irlanda del Nord): pensate a una versione leggermente più solare della Nico di The Marble Index e sarete sulla strada giusta. Uscito come retro del singolo “Pack Up Your Sorrows”, “Joy ‘Round My Brain” sposta il baricentro della musica su trascinanti cadenze folk-rock, infilzate dalla scoppiettante armonica di John Hammond.

Seguono, quindi, il canto di lavoro di “Lemonade Lady” (che Richard aveva registrato per la prima volta, senza poi pubblicarlo, ai tempi della collaborazione con Eric Von Schmidt), lo strumentale “Downtown” (che fa pensare a una variazione di “Tuileries”), il canto marinaresco di “Blood Red Roses”, la dolceamara “All the World Has Gone By” (con Joan Baez alla voce), una “Almond Joy” che zompetta senza esagerare e versioni leggermente diverse di “House Un-American Blues Activity Dream”, “A Swallow Song” e “Pack Up Your Sorrows”, più il medley, registrato dal vivo, di “Dopico; Celebration for a Grey Day”. Il brano più rockeggiante è “Morgan The Pirate”, che pare Richard avesse scritto in risposta a “Positively 4th Street”, la feroce invettiva indirizzata da Dylan contro alcuni dei protagonisti della scena folk del Greenwich Village.

Note:

  1. David Hajdu, Positively 4th Street. Come quattro ragazzi hanno cambiato la musica, Arcana, 2004, pagg. 228-229
  2. Il termine Raga o Rāga indica, nella musica classica indiana, particolari strutture musicali, che seguono nell’esecuzione precise regole relativamente alle frasi melodiche consentite o vietate, e sono basati su un certo numero di scale musicali di base. Per ogni scala di base esistono innumerevoli Rāga teoricamente possibili, anche se nella pratica effettiva dei musicisti ammontano complessivamente a qualche centinaio. Una particolarità rispetto alla prassi esecutiva occidentale è che molti Rāga prevedono l’utilizzo di due scale differenti, a seconda che la frase musicale sia ascendente o discendente. (Wikipedia)
  3. Genere musicale veloce e sincopato, sviluppato nei primi anni sessanta da piccole formazioni musicali chiamate charangas. (Wikipedia)
Discografia Consigliata

Celebrations for a Grey Day (1965)
Reflections in a Crystal Wind (1965)

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