Roberto Franco e il segreto degli anni Ottanta
Intro

Tra i romanzi letti quest’anno, mi sono particolarmente affezionato a “Il segreto degli anni Ottanta”, in cui il giornalista, scrittore e critico musicale Roberto Franco riflette, attraverso le avventure di alcuni adolescenti milanesi, su uno dei decenni più affascinanti e controversi della nostra storia. Un decennio in cui anche la musica pop e rock ebbe un peso non indifferente nella definizione dell’identità dei giovani e meno giovani. Abbiamo voluto approfondire questa e altre questioni insieme all’autore, che ci ha gentilmente concesso l’intervista che segue.

Francesco Nunziata

Allora, Roberto, per iniziare puoi parlarci un po’ della genesi di questo tuo nuovo romanzo?

Roberto Franco

Degli anni Ottanta conservavo una miriade di ricordi incredibilmente intensi. Non che non abbia vissuto esperienze intensissime anche in seguito, ma quei ricordi erano speciali, avevano una qualità quasi inesprimibile. Quasi, appunto, perché io ho provato a rendere il clima dove erano germinati nel mio romanzo. Lo progettavo da tempo, ma ai primi tentativi non riuscivo a trovare la forma adeguata, poiché solo un delicatissimo e particolare equilibrio tra le parti poteva restituire al lettore quella particolare atmosfera.

Francesco Nunziata

Il romanzo è ambientato nella Milano dei primi anni Ottanta. A un certo punto scrivi:

«Milano si sta arricchendo, sta diventando la capitale di qualcosa addirittura di unico al mondo; ne è parte l’esibizione spudorata di una ricchezza nuova che i milanesi amano credere originata solo da lavoro, idee e dinamismo, non da quelle rendite parassitarie e da quel debito pubblico che in pochi anni strangoleranno le finanze dello stato. L’immaginazione vince la realtà […]»

Cos’è cambiato da allora?

Roberto Franco

La situazione è peggiorata, poiché Milano negli anni Ottanta è rimasta comunque una città aperta, libera, solidale proprio perché invasa solo a sprazzi dal consumismo sfrenato. Anche dopo, ma sempre meno. Fino ad arrivare ai giorni nostri. Detto questo, Milano è ancora una bella città dal punto di vista culturale e della cifra umana di molti singoli milanesi, anche giovani. E poi la crisi economica, che ha toccato la città meno di altre, ha finito comunque per cambiarla.

Francesco Nunziata

Mentre va definendo, in modo anche doloroso, la sua identità, Dani – il protagonista del romanzo, un adolescente di una ricca famiglia che frequenta le scuole medie – inizia a comprare un disco dopo l’altro. Ora, sappiamo bene che la musica è uno degli strumenti più potenti attraverso cui l’uomo costruisce la propria identità. Com’è cambiato, a tuo avviso, questo processo durante gli anni? Nell’epoca di Youtube, Spotify, Facebook e via di questo passo, è ancora possibile, per un adolescente, costruirsi un’identità attraverso la musica?

Roberto Franco

Sì, ma in misura molto minore. Il fatto di dover pagare per la musica, per la sua qualità e rarità, spingeva a delimitare uno spazio personale, anche identitario, molto più solido. Oggi mi sembra che ascoltare musica, per i giovani, sia come abbandonarsi a una qualsiasi altra forma di intrattenimento.

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Francesco Nunziata

A un certo punto, per avere più consigli nella scelta dei dischi, Dani inizia a comprare anche delle riviste musicali. Col passare del tempo, il loro peso, causa la diffusione in rete della musica e la nascita di diverse webzine, è sicuramente andato scemando, eppure possono ancora contare su uno zoccolo duro di acquirenti. Tu hai scritto per il Mucchio Selvaggio, che ha da poco chiuso una volta e per sempre i battenti. Vuoi parlarci della tua esperienza di “critico musicale”? La sua figura ha ancora un senso di questi tempi?

Roberto Franco

La figura del critico musicale in campo pop è nata dal nulla per pura necessità. Mentre il critico di classica, contemporanea o jazz è per forza di cosa un musicologo, il critico pop non lo è necessariamente. È un miscuglio di tante cose: critico sociale, di costume, ecc. Una figura unica, che mi ha sempre affascinato e che forse scomparirà con la stessa imprevedibilità con cui era nata nella seconda metà degli anni Sessanta. Detto questo, secondo me la critica musicale pop ha ancora un senso poiché può indicare una nuova prospettiva, una griglia interpretativa che non è verità assoluta, ma consente di approfondire contenuti musicali e magari propiziare scoperte. Vista la vaghezza con cui il ruolo del critico pop si definisce, è indispensabile, per chi lo assume, tenere presenti i propri limiti, ed io ho sempre riconosciuto i miei. Quindi, al netto di tutte le ingenuità e gli errori che ho potuto commettere nell’apprendimento sul campo, mi sono pressoché sempre trovato in sintonia con coloro con cui ho lavorato, adesso anche più di allora.

Francesco Nunziata

Durante gli anni, la crisi delle riviste è stata acuita anche dalla diffusione di un numero sempre più crescente di webzine e siti musicali in genere. Che tipo di rapporto hai con esse e, in generale, come le valuti?

Roberto Franco

Alcune webzine sono fatte davvero con cura e dedizione. Ma il problema vero per le riviste cartacee è (come tu hai già accennato) la quasi immediata fruibilità gratuita della musica che esce per cui, a mio avviso, il magazine non può più tanto contare sul fatto di dare delle notizie e informazioni che altrove non troveresti. In questo senso, il riempire una rivista di un interminabile numero di recensioni molto brevi lo trovo ormai poco sensato. Meglio dedicarsi ad approfondimenti. Comunque il fascino della carta non sparirà, a mio avviso, finché la nostra generazione vivrà ancora.

Francesco Nunziata

Sì, sono d’accordo sulla ormai quasi inutilità delle numerose recensioni che riempiono molte pagine delle riviste cartacee. Nella stragrande maggioranza dei casi, esse arrivano sempre in ritardo rispetto al web e, quindi, credo che il loro ruolo debba necessariamente essere ridefinito. Ma torniamo al tuo romanzo.

Sullo sfondo delle avventure di Dani, emerge spesso l’ombra della sottocultura dei cosiddetti “paninari”. Vuoi ricostruire in breve la loro vicenda e dirci, inoltre, cosa rappresentarono per l’epoca?

Roberto Franco

Quella dei paninari non so nemmeno se fosse originariamente una sottocultura o un semplice insieme di atteggiamenti elitari e, al contempo, semi-delinquenziali tenuti insieme dal fascino per il brand di alcuni capi di vestiario, in cui la classe sociale contava moltissimo, ma non sempre e comunque. Il resto della loro storia si riduce al progressivo assorbimento e distorcimento mediatico delle loro peculiarità, quindi, paradossalmente, non riguarda più nemmeno loro. Mentre per la sottocultura dark o quella heavy-metal ci rimangono delle elaborazioni culturali, per quanto se vuoi più o meno ingenue, dei paninari originali noi non abbiamo assolutamente nulla.

Io poi parlo, fatta eccezione per un personaggio, non dei paninari originari, che a quanto ne so non avevano nemmeno una visione musicale particolarmente ampia, ma della diffusione della moda e dell’atteggiamento dei paninari, che ha agito su molti adolescenti in modo differente da caso a caso. Di questa diffusione, ho stabilito cronologicamente la genesi e l’evoluzione in modo assolutamente rigoroso. Ma, grazie alla varietà e al disordine con cui i miei personaggi hanno assimilato elementi di quella sottocultura, ho cercato di rendere la complessità dell’impatto del fenomeno. Chiaro che i paninari furono un detonatore, a livello giovanile, di qualcosa che già incombeva.

Francesco Nunziata

Quanto di autobiografico c’è nel romanzo?

Roberto Franco

Mi scuso, ma a questa domanda preferirei non rispondere.

Francesco Nunziata

Il romanzo gronda di dischi e di canzoni dell’epoca. Se tu dovessi farci una compilation di quindici brani, quali sceglieresti e perché?

Roberto Franco

Se dovessi scegliere quindici brani per dare un’idea degli anni Ottanta, credo che questa sarebbe la mia tracklist, orientata sulla wave e sulla dance, perché includere anche la neo-psichedelia sarebbe impossibile. Alla base di questa immaginaria compilation potrebbe esserci la volontà di restituire un quadro il più completo possibile delle suggestioni di quel tempo:

Siouxsie And The Banshees: Red Light
Bronski Beat: Smalltown Boy
New Order: Blue Monday
Mike Oldfield: Foreign Affair
Tuxedomoon : Victims Of The Dance
Alien Sex Fiend: Ignore The Machine
Clash: The Magnificent Seven
Eurythmics:  There Must Be An Angel
Tears For Fears: Pale Shelter
D.A.F.: Der Mussolini
Falco: Der Kommissar
The Damned: Thanks For The Night (Rat Mix)
Simple Minds: Up On The Catwalk
Depeche Mode: Leave In Silence
Stan Ridgway: Camouflage

Francesco Nunziata

In molti dei dischi che Dani compra – e che finisce per amare – c’è sempre un filo di malinconia che, col senno di poi, sembra rappresentare un po’ l’essenza di quegli anni. Sei d’accordo?

Roberto Franco

Io ricordo un senso di malinconia che si respirava nelle pieghe, nei dettagli, dalla tragicità dei manga giapponesi a quella di molti film allora in voga tra gli adolescenti, fino all’alone di drammaticità degli stessi musicisti da essi idolatrati: pensa ai Tears For Fears o a “Last Christmas” degli Wham!, ai Pet Shop Boys e a una buona parte della new wave e synth wave. Era una drammaticità tipica dell’adolescenza, un’adolescenza che magari, allo stesso tempo, aderiva a ideologie fatue e consumistiche. Ci hanno restituito l’immagine di anni Ottanta gioiosi e spensierati quasi in blocco, ma in realtà sono ricordi un po’ artefatti. Io non volevo tanto negare l’assunto per cui gli anni Ottanta sono stati gioiosi a prescindere, ma rendere finalmente la complessità di quell’epoca. Poi, chiaro, il mio protagonista è particolarmente malinconico, ma non è una figura atipica. Molte persone che conosco hanno sofferto tantissimo gli anni Ottanta che descrivo nel libro, perché non riuscivano ad adeguarsi; altri, invece, li hanno vissuti in modo più innocente e spensierato.

Francesco Nunziata

Il quindicesimo capitolo del romanzo si apre con la morte di Enrico Berlinguer, amatissimo segretario del Partito Comunista Italiano. Mi ha fatto molto riflettere, a tal proposito, ciò che la madre di Dani dice, piangendo, a suo figlio: «Sai ora, i proletari non hanno veramente più nessuno». Si sbagliava?

Roberto Franco

Beh, sul momento sì. Ma, alla lunga, quando sono finiti i soldi a debito, si è vista com’è andata a finire per i proletari, ma anche per la classe media. Ma certo non solo per la scomparsa di Berlinguer.

Francesco Nunziata

Come vivesti, all’epoca, l’avvento del Compact Disc?

Roberto Franco

Molto bene, a parte il costo del supporto. Era molto più comodo del vinile, aveva un ottimo suono poi diventato spesso eccellente con il passare del tempo, e soprattutto si rovinava meno. Mai stato un nostalgico del vinile.

Francesco Nunziata

Quali sono i tuoi dieci dischi preferiti degli anni Ottanta e perché?

Roberto Franco

Gli anni Ottanta sono stati un decennio di creatività pazzesca. È difficilissimo scegliere, quindi anche spiegare il perché. Se Queen Of Siam di Lydia Lunch per me supera To Each degli A Certain Ratio non c’è un motivo preciso, perché sono entrambi rivoluzionari. Potrei citarti trenta dischi degli anni ’80 che sono di per sé un abisso, ma spiegarne il perché richiederebbe una trattazione molto lunga, qui impossibile da compiere. Quindi, mi limiterò a citartene altri nove (oltre Queen Of  Siam):

Wall Of Voodoo Dark Continemt
Joy Division; Closer
Bronski Beat: The Age Of Consent
Christian Death: Only Theatre Of Pain
The Dream Syndicate: The Medicine Show
Tuxedomoon: Desire
The Anti Group: The Delivery
Current 93: Nature Unveiled
Mark Stewart And The Maffia: Learning To Cope With Cowardice

Francesco Nunziata

Qual è, insomma, il “segreto degli anni Ottanta”?

Roberto Franco

Sono stati il primo decennio postmoderno e soprattutto di cesura tra un modo di pensare la storia umana e un altro. Ma ciò non basta a spiegare perché siamo ancora ossessionati da quegli anni. Spero che tra le pieghe del mio libro i lettori ne abbiano trovato perlomeno una traccia.

Francesco Nunziata

Sei autore anche di un altro romanzo, All’alba dei nidi infranti, che confesso di non aver letto. Di cosa parla?

Roberto Franco

È sempre ambientato in una città del Nord Italia. Il protagonista è un neonazista omosessuale, la cui vita si divide tra club gay e infiltrazioni e piccoli attentati, ma è inserito anche in un gruppo più grande, i cui membri non si conoscono l’uno con l’altro, che progetta di infiltrare un partito che somiglia alla Lega Nord, per poi attribuirgli falsamente una strage. Tutto è giocato sul segreto e sul tradimento. I segreti del passato del neofascismo, il segreto del protagonista di essere gay, il tradimento quasi come azione che eleva, nel sogno/incubo di un nuovo mondo a venire… Direi molto più gelido e oscuro de Il Segreto degli anni Ottanta. Al momento, è irreperibile per il pubblico, ma spero di farne uscire presto una seconda edizione.

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