Buddy Holly

La tragica sorte che era toccata a Eddie Cochran e Johnny Burnette colpì anche Buddy Holly, uno dei musicisti più influenti della sua generazione.

Caratterizzato da uno stile inconfondibile e da una creatività fuori dal comune, Charles Hardin Holley (questo il suo vero nome) crebbe in una famiglia di appassionati di musica in quel di Lubbock, Texas, dove era nato il 7 settembre del 1936. Il suo primo strumento fu il violino, messo da parte non appena il giovane Holly scoprì la chitarra.

Crebbe ascoltando musica gospel, country e rhythm and blues. Nel 1954, insieme all’amico chitarrista Bob Montgomery, formò una band chiamata Buddy and Bob, con la quale riuscì addirittura ad aprire un concerto di Elvis Presley. Fu quello un momento cruciale, perché lo convinse a diventare un musicista professionista. Nel 1955 prese a esibirsi insieme al batterista Jerry Allison. Data la formazione striminzita, Buddy dovette sviluppare uno stile funzionale, passando, spesso in modo rocambolesco, dalla chitarra ritmica a quella solista.

Adocchiato dal talent scout Eddie Crandall, Holly finì nel 1956 a registrare dei brani commissionati dalla Decca, che stava cercando materiale fresco da dare in pasto agli appassionati di rockabilly. Accompagnato da Sonny Curtis e Don Guess, durante quelle session Holly suonò da par suo, ma il produttore Owen Bradley fece pollice verso, perché a suo avviso il materiale doveva avere un’impronta country più marcata. Comunque sia, a nome Buddy Holly & The Three Tunes in quello stesso anno uscirono i singoli “Blue Days, Black Nights” / “Love Me” e “Modern Don Juan” / “You Are My One Desire”, brani in cui l’equilibrio delle parti (rockabilly e country) finì per scontentare un po’ tutti.

Senza perdersi animo, Holly partì per Clovis, nel New Mexico, dove l’aspettava Norman Petty, un giovane ma smaliziato produttore che aveva aperto il Nor-Va-Jack, un moderno studio di registrazione. In un ambiente accogliente e molto rilassato, Holly ebbe modo di esprimere la propria creatività senza alcuna limitazione. Fu in quell’occasione che, insieme al batterista Jerry Allison, al bassista Larry Welborn e al chitarrista ritmico Niki Sullivan, registrò “That’ll Be The Day”, che sarebbe stata pubblicata dalla Brunswick Records nel 1957 e intestata a The Crickets (“i grilli”).

That’ll Be The Day” (che raggiungerà i piani delle classifiche americane e inglesi) fu ispirata dalla visione del film del 1956 The Searchers (titolo italiano Sentieri selvaggi) di John Ford, all’interno del quale il protagonista John Wayne ripete spesso proprio l’espressione che dà il titolo al brano (un’espressione che era diventata molto in voga tra i giovani dell’epoca). Sorta di ballata rock’n’roll (in cui Buddy continua a ripetere che, il giorno in cui la ragazza lo lascerà, sarà anche quello in cui lui morirà), il brano popolarizzò la formazione a quattro (chitarra solista, chitarra ritmica, basso e batteria) che si sarebbe imposta come basilare lungo l’intera storia del rock.

Well, that’ll be the day, when you say goodbye
Yes, that’ll be the day, when you make me cry
You say you’re gonna leave, you know it’s a lie
‘Cause that’ll be the day when I die

Bene, quello sarà il giorno in cui mi saluterai
Sì, sarà il giorno in cui mi farai piangere
Dici che te ne andrai, sai che è una bugia
Perché quello sarà il giorno in cui morirò

Sul lato B del singolo compariva la scoppiettante “I’m Looking for Someone to Love”, che conserva ancora oggi una freschezza senza tempo. Nel giugno successivo uscì “Words of Love / Mailman, Bring Me No More Blues”, che accoppiava una delicata anticipazione di quello che un giorno si sarebbe chiamato jangle-pop (avete presente i Byrds?) a una piacevole ricognizione in territorio blues.

A settembre, invece, ecco un altro colpo da novanta: “Peggy Sue”, un brano delizioso, con quel continuo, tambureggiante ritmo di batteria e un brevissimo ma incisivo assolo di chitarra elettrica a rompere un continuum di sommesse plettrate che sembrano ricamare note nell’ombra. Un’ombra da cui proviene il canto di Holly, simile a un richiamo verso il mistero. In cabina di regia, Petty armeggiò con il volume della batteria, in modo da dare la sensazione che la musica esca e rientri continuamente in se stessa. Per la cronaca, il titolo iniziale era “Cindy Lou”, ma quando Jerry Allison iniziò a frequentare una ragazza di nome Peggy (che poi sarebbe diventata sua moglie), Buddy decise di optare per “Peggy Sue”. Sul retro di quello storico singolo, trovava posto un altro capolavoro: “Everyday”, una dolcissima ballata arrangiata per ticchettio di macchina da scrivere, battiti di mani sulle ginocchia, chitarra acustica e celesta (quest’ultima suonata dalla moglie di Norman Petty)!

Everyday, it’s a-gettin’ closer
Goin’ faster than a roller coaster
Love like yours will surely come my way
A-hey, a-hey hey

Ogni giorno è un avvicinarsi
Si va più veloci che sulle montagne russe
Un amore come il tuo verrà sicuramente da me
A-hey, a-hey hey

Appena un mese dopo giunse nei negozi l’ennesima bomba: “Oh Boy”, cover di un brano rock’n’roll di Sonny West. “Not Fade Away”, che lo accompagnava, è invece un’intelligente variazione del Bo Diddley beat, con Jerry Allison a divertirsi con una scatola di cartone.

Con tutte queste eccezionali premesse, nel novembre del 1957 arrivò nei negozi di dischi The “Chirping” Crickets, esordio sulla lunga distanza di Holly e della sua famiglia di musicisti, che all’epoca comprendeva, oltre a Jerry Allison alla batteria, Joe Mauldin al basso e Niki Sullivan alla chitarra ritmica. Il disco non solo raccoglie alcuni dei suoi precedenti successi (“Oh, Boy!” “Not Fade Away“, “That’ll Be the Day“, “I’m Looking for Someone to Love”), ma regala anche altri classici del rock’n’roll come “Tell Me How” e ballate più o meno movimentate come “You’ve Got Love”, “It’s Too Late” e “An Empty Cup (And a Broken Date)”.

Per la cronaca, The “Chirping” Crickets fu uno dei primi dischi rock’n’roll a essere diffuso in Inghilterra, andando a stuzzicare la fantasia di molti musicisti in erba, tra cui gli stessi Beatles, che all’inizio della loro carriera avrebbero spesso omaggiato l’occhialuto chitarrista e compositore texano con un discreto numero di cover.

Un secondo LP uscì all’inizio del 1958, dopo un altro singolo di rilievo come “Maybe Baby” / “Tell Me How”. Intestato al solo Buddy Holly, il nuovo disco (che, a dirla tutta, è più riuscito del suo predecessore) vanta, oltre al ripescaggio di altri singoli (“Peggy Sue”, “Everyday”, “Words Of Love”, “Mailman, Bring Me No More Blues”), nuove delizie in bilico tra raffinato songwriting, candore adolescenziale e l’energia del rock’n’roll: “I’m Gonna Love You Too” (ascoltandola, si capisce quanta influenza abbia avuto la musica di Holly su quello che un giorno si sarebbe chiamato «power-pop»), “You’re So Square” (in cui la ragazza amata non ama la “musica pazza” e le “band di rock’n’roll”, ma vuole solo “andare al cinema”…), “Rave On”, “Little Baby” e una “Ready Teddy” che omaggia Little Richard.

Nel frattempo, con il chitarrista Tommy Allsup, Holly aveva registrato altri brani di un certo rilievo, tra cui “It’s So Easy” e una “Heartbeat” dall’atmosfera hawaiana.

Nel settembre successivo, registrò, invece, “Reminiscing” e “Come Back Baby“, entrambe caratterizzate dal suono del sax. Un mese dopo, anche con l’ausilio di un’orchestra di diciotto elementi, Holly tenne la sua ultima session, da cui uscirono quattro brani che mostravano un autore sempre più convinto dei propri mezzi e decisamente proiettato verso il futuro della canzone pop: “It Doesn’t Matter Anymore“, “Raining in My Heart“, “Moondreams” e “True Love Ways“.

Nel gennaio del 1959, accompagnato da Tommy Allsup, Waylon Jennings (basso) e Carl Bunch (batteria), Holly (che nel frattempo aveva messo fine all’esperienza con i Crickets e si era trasferito in un appartamento di New York, dove si stava dilettando a incidere brani su un registratore a due piste) partì per le ventiquattro date del tour Winter Dance Party, cui presero parte anche Ritchie Valens (in orbita dopo il successo di “La Bamba”), Big Bopper e Dion & The Belmonts.

Dopo la data del 2 febbraio a Clear Lake, nello Iowa, per non doversi mettere in viaggio sul solito autobus, Holly decise di noleggiare un aereo. Con lui, oltre al pilota (che, a quanto pare, era piuttosto inesperto) partirono anche Ritchie Valens e Big Bopper. A soli cinque miglia dalla pista di decollo, intorno all’una di notte del 3 febbraio, l’aereo si schiantò. Nevicava. Come canterà qualche anno dopo il cantautore Don McLean in “American Pie”, quello fu “il giorno in cui la musica morì”. Era, ovviamente, un’esagerazione. Tuttavia, l’impatto della morte di Holly fu enorme, ma ancora più enorme fu il suo lascito artistico, destinato a riverberarsi, di lì a poco, su tantissimi musicisti degli anni Sessanta e non solo.

Discografia Consigliata

The “Chirping” Crickets (1957)
Buddy Holly (1958)
The Buddy Holly Collection (compilation, 1993)

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