Il rock’n’roll Inglese

Il periodo successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale fu piuttosto doloroso per tutta l’Inghilterra. Alle difficili condizioni di vita, che accompagnarono una lenta ricostruzione, si aggiunse anche la paura di un possibile conflitto nucleare: gli inglesi erano alleati con gli Stati Uniti e questo significava essere nel bel mezzo della cosiddetta “guerra fredda”, con l’Unione Sovietica a rappresentare il nemico per eccellenza.

La forte influenza che i cugini americani esercitavano sul popolo inglese si fece sentire anche a livello musicale, tanto che, a metà degli anni Cinquanta (quando le condizioni di vita dei sudditi della regina presero a migliorare vistosamente), anche in Inghilterra sbarcò il rock’n’roll, una musica che incontrò, inizialmente, soprattutto i favori di quelle frange di giovani ribelli che, come i cosiddetti «teddy boys», già da qualche anno si era rivoltati contro la cultura ufficiale. Il ritmo pulsante e le liriche spesso esplicite di quella nuova e frizzante musica rispecchiavano in modo adeguato i sogni e le aspirazioni delle nuove generazioni, che ebbero la possibilità di scoprire molti dei grandi artisti del rock’n’roll e del rockabilly grazie a Radio Lussemburgo, una stazione “pirata” che, per aggirare le leggi inglesi, trasmetteva dal mare, in acque extraterritoriali.

Il primo brano di rock’n’roll a entrare nelle classifiche inglesi fu, nel dicembre 1954, “Shake, Rattle and Roll” nella versione di Bill Haley & His Comets, una formazione che, di lì a poco, sarebbe stata apprezzata anche per la sua “Rock Around The Clock”. Prima del boom del rock’n’roll, però, in un periodo di tempo compreso tra il 1956 e il 1958, ad accendere la fantasia dei giovani inglesi ci pensò lo «skiffle», che in pratica era una rilettura, tinta di jazz, di quel blues rurale americano che i poveri musicisti di colore s’arrangiavano a suonare con manici di scopa, pettini, bottiglie, assi per lavare, secchi o casse da imballaggio. Il successo dello skiffle fu inaugurato verso la fine del 1955 dalla pubblicazione di “Rock Island Line”, brano accreditato a The Lonnie Donegan Skiffle Group.

Tra il 1957 e il 1961, numerosi singoli di Anthony James “Lonnie” Donegan (Glasgow, 29 aprile 1931) fecero registrare vendite eccezionali, imponendo il chitarrista e cantante di origini scozzesi come figura di primo piano della musica britannica. Il suo esordio, Lonnie Donegan Showcase (1956), fu il primo album della musica inglese a finire in classifica, anche se in quella dei 45 giri, dato che non ne esisteva ancora, all’epoca, una dedicata agli LP (che giravano a 33 giri). In quegli storici solchi, Lonegan apriva lo skiffle a diverse influenze, dal country e rockabilly di “Wabash Cannonball”, al jazz di “How Long, How Long Blues”, passando per il folk-blues di “Nobody’s Child” e “I’m a Ramblin’ Man”, il country-rock di “Wreck of the Old ’97” e il rock’n’roll marziale di “Frankie and Johnny”.

Lonnie, uscito nel 1958, tirava invece nella mischia anche la musica gospel grazie alla toccante “Ain’t You Glad You Got Religion”, risultando ancora apprezzabile, per quanto non così decisivo come il suo predecessore. Lonnie Rides Again (1959) era inaugurato, invece, dalle pulsanti trame di “Fancy Talking Tinker” (tra blues e rock’n’roll), incrociando ancora il gospel (ma questa volta tramite la musica country) nella trascinante “Gloryland” e mantenendo, nei brani restanti, un buon equilibrio fra tradizione e modernità (si ascolti, ad esempio, la cover di “House Of The Rising Sun”).

All’alba degli anni Sessanta, la stella di Donegan andò lentamente cedendo il passo all’avvento delle nuove sonorità. Tuttavia, proprio grazie alla sua musica, a partire dal 1956 la vendita delle chitarre in Inghilterra subì una spinta senza precedenti. Lo skiffle era un genere che richiedeva una strumentazione più scarna rispetto al rock’n’roll e, perciò, inizialmente i giovani musicisti (spesso squattrinati) cercarono di emulare le gesta di Lonegan più che quelle di Chuck Berry o di Elvis Presley. In ogni caso, non pochi tra i giovani musicisti preferirono optare per il rock’n’roll e, così, iniziarono a farsi avanti i primi artisti e le prime formazioni desiderose di confrontarsi con i grandi modelli a stelle e strisce.

Solitamente, la nascita del rock’n’roll inglese si fa risalire alla pubblicazione di “Teach You To Rock”, cover di un brano di Freddie Bell & The Bellboys realizzata nell’ottobre del 1956 da Tony Crombie And His Rockets. Quel brano, in ogni caso, presentava una forte impronta jazz, cosa ovvia se si pensa che, in fin dei conti, Crombie era un batterista di estrazione jazz.

Uno dei primi grandi personaggi del rock’n’roll inglese, al di là della qualità, invero non proprio esaltante, della sua musica, fu Wee Willie Harris, il cui vero nome era Charles William Harris. Nato a Bermondsey, il 25 marzo del 1933, il piccolo Harris (era alto appena un metro e cinquattotto centimetri) debuttò alla fine del 1957 con il singolo “Rockin’ At the 2 I’s” / “Back To School Again”, che portava in dote un rock’n’roll tutto sommato annacquato, con tanto di controcanti e sberleffi fiatistici. Più eccitanti erano, invece, le sue performance dal vivo, dove Harris si presentava con capelli color arancio, una giacca di almeno una taglia più grande e un papillon a pois, confermando tutti i dubbi e le paure degli adulti, che vedevano in personaggi come lui e nella loro musica un enorme pericolo per i propri figli.

La prima vera star del rock’n’roll inglese fu, in ogni caso, Tommy Steele (nato Thomas Hicks a Bermondsey, il 17 dicembre del 1936), che si era fatto le ossa negli Stati Uniti nelle vesti di cantante su una nave da crociera. Il brano che lo mandò in orbita fu “Rock With The Caveman”, uscito nel settembre del 1956 e fortemente influenzato dal repertorio di Bill Haley, come chiariva a lettere cubitali il lato B, quella “Rock Around The Town” che praticamente scopiazzava “Rock Around The Clock”. Il singolo si fermò al tredicesimo posto, ma con “Singing the Blues” / “Rebel Rock” il nome di Steele e dei suoi Steelmen schizzò al primo posto delle classifiche inglesi. Ottimi riscontri di vendite ebbero anche “Knee Deep In The Blues”, “Butterfingers”, “Shiralee”, “A Handful Of Songs”, “Water, Water” e “Hey You”, quest’ultimo uscito alla fine del 1957. Erano brani spesso molto più leggeri della media delle grandi hit americane, eppure assicurarono a Steele un successo così consistente che nelle sale cinematografiche arrivò addirittura un film dedicato alla sua scalata al successo. Si chiamava The Tommy Steele Story e fu accompagnato anche da un’omonima e mediocre colonna sonora.

Il primo brano di un certo successo di Marty Wilde (vero nome Reginald Leonard Smith; Blackheath, 15 aprile 1939) fu “Endless Sleep” (1958), cover di un brano del cantante rockabilly americano Jody Reynolds che salì fino al quarto posto delle classifiche. Wilde, uno dei primi artisti inglesi ad apparire con una certa frequenza in tutti i programmi televisivi giovanili dell’epoca, ottenne nel 1959 ben quattro hit (“Donna”, “A Teenager In Love”, “Sea Of Love”e “Bad Boy”), anche se il loro sound era ben lontano dal rock’n’roll, concentrandosi, invece, su una forma ballata dai toni romantici e ammiccanti. Non di meno, grazie a loro, riuscì a garantirsi anche un tour negli Stati Uniti.

Nel tentativo di rintracciare altre imitazioni dei grandi nomi del rock’n’roll americano, le etichette discografiche inglesi si gettarono a capofitto nel circuito dei club, la maggior parte dei quali era localizzata nella zona di Soho, quartiere del West End londinese. In uno di essi (il 2 I’s), lo stesso che aveva visto l’ascesa di Tommy Steele, fu scovato Terence Williams, il cui nome d’arte era Terry Dene (nato a Londra il 20 dicembre del 1938). Quest’ultimo cercò invano di imitare Elvis Presley in brani quali “Start Movin’ (In My Direction )”, “Come And Get It”, “C’min And Be Loved” e “The Golden Age”.

Quanto ad Adam Faith (vero nome Terence Nelhams-Wright; Acton, 23 giugno 1940), all’inizio della sua carriera suonava skiffle nel gruppo The Worried Men. Nel 1958, con il singolo “(Got A) Heartsick Feeling” / “Brother Heartache and Sister Tears”, svoltò, quindi, verso un sound rock’n’roll morbido e accattivante Sul secondo singolo, invece, omaggiò Jerry Lee Lewis con la cover di “High School Confidential”. Deluso dalle scarse vendite, però, Faith pensò quasi di abbandonare il mondo della musica. Poi, dopo essere passato alla Parlophone (una sussidiaria della Columbia), riuscì a scardinare il muro dell’anonimato grazie a “What Do You Want” (numero 1 alla fine del 1959), un brano che per certi versi rievocava la leggerezza pop di Buddy Holly e la sua voglia di sperimentare arrangiamenti eccentrici (nel caso specifico, il brano vanta un pizzicato d’archi messo a punto da John Barry, che qualche anno dopo sarebbe diventato famosissimo grazie alle colonne sonore della saga di James Bond). L’eco di Buddy Holly si avvertirà anche su “Poor Me” (1960).

Altra risposta agli eroi del rock’n’roll americano fu quella di Bill Fury, nome d’arte di Ronald William Wycherley, nato a Liverpool il 17 aprile del 1940. Sul suo primo singolo, uscito nel 1959, accanto ad una languida ballata come “Maybe Tomorrow”, compariva “Gonna Type A Letter”, un brano dal ritmo battente reso ancora più accattivante dall’uso dei fiati e dal suono di una vera macchina da scrivere. Sul secondo singolo, fu ancora il lato B a declinare trascinante rock’n’roll (“Don’t Knock Upon My Door”), la cui forza, su un brano come “Collette” (1960), sarà invece smorzata da un piglio pop.

Con la sua mise da ribelle, Fury assomigliava a una via di mezzo tra Gene Vincent ed Eddie Cochran, senza comunque possedere il loro talento. Su The Sound Of Fury (suo primo LP uscito nel 1960 e da molti considerato come il miglior disco di rockabilly classico inglese), Fury mostra comunque che il termine di paragone più prossimo per buona parte della sua musica è probabilmente Buddy Holly. La delicatezza pop di “That’s Love”, la frenesia attenuata di “My Advice” (caratterizzata da un gran bel lavoro di chitarra e basso), quella, virata country, di “It’s You I Need” e la cavalcata “ferroviaria” di “Don’t Leave Me This Way” sono i brani più convincenti di un disco in cui, in ogni caso, anche l’ombra di Elvis resta sempre in agguato, come dimostrano, per esempio, “Turn My Back On You” o la svenevole “Alright, Goodbye”. In quello stesso anno, uscì un secondo, omonimo Lp, su cui comparivano alcuni dei suoi primi singoli (tra cui “Maybe Tomorrow”, “Gonna Type A Letter” e “Don’t Knock Upon My Door” e una “Wondrous Place” dall’atmosfera noir). Sugli album successivi, tuttavia, il suo sound andò sempre più ammorbidendosi e, quando i Beatles iniziarono a dominare le scene musicali, il pubblico progressivamente se ne disamorò.

Prima dell’avvento della beatlesmania, anche Johnny Kidd (mome d’arte di Frederick Alfred Heath, nato a Willesden il 23 dicembre del 1935) ottenne un discreto successo. Il suo esordio è datato 1959, con lo spedito rockabilly di “Please Don’t Touch” / “Growl”, in cui almeno il lato A rappresenta uno dei momenti più galvanizzanti del primigenio rock’n’roll inglese. A partire da “You Got What It Takes” / “Longin’ Lips” (1960), Johnny Kidd venne accompagnato dai Pirates (Alan Caddy alla chitarra, Brian Gregg al basso e Clem Cattini alla batteria), con i quali, in quello stesso anno, registrò quella “Shakin’ All Over” che avrebbe scolpito il suo nome nella storia del rock. Destinata ad avere una grande influenza su band quali The Who e Small Faces, “Shakin’ All Over” (dedicata a tutte quelle ragazze attraenti e desiderose di divertirsi…) viaggia su di un ostinato di basso e batteria in un’atmosfera umbratile e tutt’altro che rassicurante. Parte della sua energia veniva conservata anche da “Yes Sir, That’s My Baby”, che l’accompagnava sul lato B.

Molto del successo di Johnny Kidd and The Pirates dipese anche dai loro trascinanti concerti, dove si esibivano vestiti da pirati (Kidd portava anche una benda nera sull’occhio destro) contro uno sfondo su cui, oltre a un galeone, faceva bella mostra di sé anche la Jolly Roger, la bandiera tradizionale dei pirati. I singoli successivi a “Shakin’ All Over” non riuscirono a ripeterne l’exploit. Così, durante i primi mesi del 1962, i Pirates si separarono da Kidd, il quale, dopo aver messo su una nuova versione della band, si diede al rhythm and blues, pubblicando un singolo di discreto successo come “A Shot Of Rhythm And Blues” / “I Can Tell”. Il 7 ottobre del 1966, la carriera di Kidd fu stroncata da un tragico incidente automobilistico.

Il nome di Vince Taylor (Isleworth, Middlesex, 14 luglio 1939) è noto soprattutto agli appassionati della musica di David Bowie, perché il loro idolo, all’inizio degli anni Settanta, proprio alle vicende del rocker inglese si ispirò per definire il suo alter-ego Ziggy Stardust. A causa di problemi di droga e di ripetuti crolli nervosi, dopo la metà degli anni Sessanta Taylor aveva abbandonato la musica, diventando seguace di una setta religiosa e dichiarando, a più riprese, di essere un dio venuto dallo spazio… Ma alla fine degli anni Cinquanta, egli era, insieme ai suoi Playboys, ancora sulla cresta dell’onda, grazie alle vertigini rockabilly della superba “Brand New Cadillac” (1959), su cui spicca soprattutto il gran lavoro chitarristico di Joe Moretti (già all’opera in “Shakin’ All Over” di Johnny Kidd) che, oltre al memorabile riff discendente (chissà, forse Neal Hefti se ne ricorderà quando, nel 1966, metterà mano al tema di Batman…), regala anche un assolo niente male. Prima del suo declino, Taylor riuscì a mantenere relativamente alto il livello della propria ispirazione grazie a qualche singolo di discreta fattura, il migliore dei quali è probabilmente “Twenty Flight Rock” del 1961, uno strisciante rockabilly devastato da un chiassoso interludio (il brano sarà inserito anche in apertura di Le Rock c’est ça!, un mini Lp che alla fine di quell’anno lo vedrà sbarcare anche sul mercato francese).

Nessuno degli artisti che abbiamo fin qui analizzato riscosse, in ogni caso, il successo di pubblico che toccò a Cliff Richard. Ma di lui parleremo nella prossima puntata.

Discografia Consigliata

Lonnie Donegan – Showcase (1956)
Lonnie Donegan – Lonnie Rides Again (1959)
Tommy Steele & The Steelmen – The Rock’n’Roll Years (compilation, 1990)
Marty Wilde ‎– The Greatest Hits – Born To Rock N’ Roll (compilation, 2007)
Adam Faith – The Adam Faith Singles Collection: His Greatest Hits (compilation, 1990)
Bill Fury – The Sound Of Fury (1960)
Johnny Kidd and The Pirates – 25 Greatest Hits (compilation, 1998)
Vince Taylor ‎– Jet Black Leather Machine (compilation, 2009)

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