Aldo Pedron e i Beach Boys: storia di un grande amore
Intro

La passione di Aldo Pedron per i Beach Boys è di lungo corso. Chi meglio di lui, quindi, avrebbe potuto dedicare un libro alla band guidata dal geniale Brian Wilson? Scritto insieme a Roberta Maiorano, Good Vibrations. La storia dei Beach Boys ci guida in una ricca e appassionata avventura attraverso la storia e i dischi della grande band californiana.

Di seguito, la nostra intervista con Pedron.

Francesco Nunziata

Partiamo da lontano: quando hai capito che la musica avrebbe avuto un ruolo importantissimo nella tua vita? E quando, invece, ti sei reso conto che anche scrivere di musica non sarebbe stato per niente male?

Aldo Pedron

Nel maggio del 1966 ho comprato dieci singoli (45 giri) dei complessi beat che partecipavano al Cantagiro (girone C dei complessi). 45 giri dei Rokes che cantavano Ma che colpa abbiamo noi, l’Equipe 84 con Io ho in mente te, i New Dada, i Nomadi con Come potete giudicar, i Kings di Verona, i Corvi con Ragazzo di strada, Ricky Shayne e gli Skylark, i Camaleonti, i Sorrows con Mi si spezza il cuore… Mi piacevano tutti i gruppi beat di quel periodo, ma poi mi sono accorto che erano quasi sempre delle cover di canzoni inglesi o americane e da quel momento ho iniziato a seguire soprattutto la musica americana: rock and roll, blues, rock, soul, rhythm and blues, country e poi anche stili e generi minori o forse meno conosciuti come il surf vocale e strumentale, il tex-mex, western swing, rockabilly, cajun, zydeco, ecc. Ho capito già nel 1966 che la musica per me era importante, anzi importantissima. Ho iniziato a comprare i dischi proprio nel 1966, da “Carù” di Gallarate, che è la città in cui vivo e, nel 1973/1974, io, Paolo Carù e altri amici abbiamo creato una fanzine ciclostilata, «Happy Trails», con articoli, biografie e recensioni di gruppi e musica soprattutto americana. Nel 1977 sono stato tra i fondatori di una radio privata locale (RG6). Poi ho collaborato con Paolo Carù e Massimo Stefani a una rubrica, “Musicbox”, sulla rivista «Hi-Fi Suono» e lì ho iniziato a scrivere, diciamo, a livello nazionale. Nel dicembre del 1977, è nata la rivista «Il Mucchio Selvaggio», di cui ero tra i fondatori e redattori. Nel 1980, c’è stata la famosa scissione e abbiamo creato la rivista «Ultimo Buscadero», di cui sono stato direttore dal 1980 sino, credo, al 1992. Poi ho collaborato e scritto per varie riviste come «Hi-Folks», «Jam», «Late for The Sky», «Outsider», «Dynamo», «Feedback» e diverse altre.

Francesco Nunziata

La tua passione per i Beach Boys è di lungo corso e durante gli anni sei diventato uno dei massimi conoscitori della band che faceva capo al genio di Brian Wilson. Ci vuoi raccontare quando e in che modo li hai scoperti e cosa, della loro musica, attirò immediatamente la tua attenzione?

Aldo Pedron

Non ho un ricordo preciso ma già nel 1966 ascoltando canzoni e 45 giri come God Only Knows e Good Vibrations ho capito subito che per me erano particolarmente speciali, già forse più di tutti gli altri.

Francesco Nunziata

Quando hai scritto il tuo primo articolo dedicato ai Beach Boys?

Aldo Pedron

Ne ho scritti davvero tanti di articoli su di loro, credo la prima volta sul «Mucchio Selvaggio», quindi sicuramente tra il 1977 e il 1980. Nel 1980 ho visto i Beach Boys a Londra per tre sere di fila e ricordo di aver fatto la recensione sul «Mucchio»!

Newsletter Hive

Iscriviti e resta sempre aggiornato su articoli, news ed eventi di Hive Music

Iscriviti
Francesco Nunziata

A tuo avviso, i Beach Boys sono stati la band più influente di sempre, mentre consideri Pet Sounds, da tutti riconosciuto come il loro capolavoro, come il più grande album rock mai realizzato. Quali le ragioni dietro queste tue posizioni?

Aldo Pedron

Reputo Pet Sounds del 1966 un capolavoro ma personalmente mi piace moltissimo anche l’album Surf’s Up del 1971. Come spiegare perché li ritengo la band più importante di sempre? Ogni gusto è soggettivo, ma nei Beach Boys trovo che la musica, i ritmi, le influenze, i vari generi di ciascuna canzone (assai diverse una dall’altra), gli arrangiamenti e soprattutto le voci siano speciali, celestiali, sublimi, fenomenali, indiscutibili, fondamentali. Difficile smentirmi. E… non dimentichiamo il genio di Brian Wilson che ha pochissimi eguali…

Francesco Nunziata

Qualche anno fa, la pubblicazione delle Smile Sessions ha riportato l’attenzione su quei gioielli di pop sperimentale che nel 1967 Brian, causa uno stress psichico sempre più pesante (acuito anche dalla sfida a distanza con i Beatles), non era stato in grado di portare a completa maturazione. Ogni volta che li ascolto, non posso fare a meno di pensare che siamo su livelli ben più alti di quelli del pur mitico Pet Sounds. Anzi: per quanto mi riguarda, a livello di sperimentazione pop, le Smile Sessions mostrano che i Beach Boys non avevano rivali all’epoca. Che rapporto hai con le Smile Sessions? Dato che hai conosciuto Brian anche di persona, gli hai mai chiesto quanto si avvicinano i brani contenuti in quelle sessions alla forma definitiva che egli avrebbe voluto dargli?

Aldo Pedron

Domanda difficile… nel senso che, per anni, ho avuto vari bootlegs in vinile e Cd con le Smile Sessions per cui, quando poi sono state pubblicate ufficialmente, non rappresentavano una novità, e quindi non le ho particolarmente apprezzate. Ritengo che le Smile Sessions andavano ascoltate allora, nel 1966/1967, e non dopo quarant’anni! Certamente, se fossero uscite in quel periodo, avrebbero potuto cambiare la storia della musica rock e avrebbero anche anticipato Sgt. Pepper dei Beatles. Brian Wilson era convinto di fare l’opera rock del secolo, la vera sinfonia a Dio e sicuramente le sue sperimentazioni erano avanti rispetto a tutti gli altri. Poi, però, si è perso nella sua maniacale volontà di aggiungere e rifare ciascun brano mille volte, cercando di creare l’epopea della musica americana. Sappiamo com’è andata a finire. Le Smile Sessions restano importanti, ma non come avrebbero potuto esserlo, se solo fossero uscite all’epoca.

Francesco Nunziata

Secondo te, perché i Beach Boys ebbero relativamente più successo in Inghilterra che negli Stati Uniti?

Aldo Pedron

Diciamo che negli Stati Uniti sono sempre andati in classifica ai primi posti (soppiantati solo dai Beatles), perciò furono molto seguiti e popolari. L’Inghilterra si è particolarmente affezionata a loro e ci sono sempre stati molti collezionisti che adorano i Beach Boys. Ancora oggi, c’è uno zoccolo duro di appassionati, soprattutto inglesi, che li apprezzano molto.

Francesco Nunziata

Durante gli anni, che rapporto hanno avuto i Beach Boys con l’Italia? Come furono accolti, negli anni Sessanta, dalle nostre parti?

Aldo Pedron

In Italia i Beach Boys erano e sono un oggetto misterioso. Sono in pochi a conoscerli. Poco seguiti, poco apprezzati, poco considerati. In Italia, li hanno sempre considerati, e per lo più ancora li considerano, solo una band surf. Li conoscono soprattutto per Barbara Ann che non è nemmeno una loro canzone, dato che si tratta di una cover di un pezzo dei Regents).

Francesco Nunziata

Guidato da un’ossessiva quanto spirituale ricerca della perfezione, Brian Wilson è certamente uno dei massimi geni della musica pop. Eppure, probabilmente la sua importanza è ancora leggermente sottostimata, soprattutto se paragonata a quella della coppia Lennon/McCartney dei Beatles. Forse perché la musica dei Beach Boys è per molti ancora sinonimo di spensieratezza e di estati infinite? O cos’altro?

Aldo Pedron

L’errore di base è proprio il considerare la musica dei Beach Boys soltanto come sinonimo di spensieratezza ed estati infinite. Hanno inciso brani surf per non più di tre o quattro anni, eppure sono etichettati come una band di surf e poco altro. Ricordiamo, appunto, che canzoni come Good Vibrations, God only Knows, Heroes and Villains, Surf’s Up, In My Room, The Warmth of the Sun, Our Prayer (a cappella), ‘Til I Die, Darlin’, Wild Honey (rhythm and blues), I Get Around, Don’t Worry Baby, Fun Fun Fun, I Can Hear Music, Here Today, Wouldn’t It Be Nice, Let’s Go for Awhile (strumentale) sono piccoli gioielli e capolavori che non hanno nulla a spartire con il surf.

Francesco Nunziata

Che differenze ci sono tra il pop degli americani Beach Boys e quello degli inglesi Beatles?

Aldo Pedron

Suoni diversi, arrangiamenti diversi, stili diversi, influenze diverse, entrambe geniali, ma non si possono fare paragoni. Le due band si sono influenzate a vicenda e il loro sano dualismo ha aiutato entrambe a crescere stilisticamente, creativamente e musicalmente, alzando l’asticella nel cercare nuove soluzioni, nuove tematiche e nuovi suoni.

Francesco Nunziata

Abortito il progetto di Smile, dopo la pubblicazione di Smiley Smile (che di quel progetto conservava solo lontanissimi riflessi, pur essendo, comunque, un disco di tutto rispetto), i Beach Boys entrarono, complice anche il progressivo aggravarsi dei problemi psichici di Brian, in una fase musicale molto meno creativa, che regalò comunque due dischi interessanti quali Sunflower (1970) e Surf’s Up (1971). Se ti dicessero che si può tranquillamente fare a meno dei dischi successivi a Surf’s Up, tu cosa risponderesti?

Aldo Pedron

Holland (1973) è un ottimo album e il resto non è da buttare, anche se di capolavori non ce ne sono più. Trovo anche che il primo album solista di Brian Wilson, uscito nel 1988 e intitolato soltanto Brian Wilson, sia un disco splendido.

Francesco Nunziata

I fratelli Wilson (Brian, Carl e Dennis) ebbero sempre un rapporto molto tormentato e burrascoso con il padre-padrone Murry. Quanto, a tuo avviso, il rapporto col padre pensò sul manifestarsi dei problemi psichici di Brian?

Aldo Pedron

Purtroppo, credo che i problemi psichici di Brian Wilson siano dovuti principalmente all’eccesso di droghe ma anche ai rapporti tormentati con il padre. Musicalmente parlando, invece, Brian credo abbia potuto, soprattutto nel periodo 1962-1967, esprimersi al meglio per quanto riguarda la scrittura della sua musica.

Francesco Nunziata

Oltre a Brian Wilson, quale dei membri della band fu più decisivo per la definizione del Beach Boys sound?

Aldo Pedron

Carl Wilson è stato il vero legame della band e non dimentichiamoci che nei capolavori dei Beach Boys è lui la voce solista (in God Only Knows, Good Vibrations, Wild Honey, Darlin’). Anche Dennis Wilson è stato molto importante nell’economia del gruppo, così come Mike Love, che fu la voce ufficiale della band e co-autore di diversi brani insieme a Brian. Per tutta la vita, però, Mike Love ha cercato di convincere Brian a scrivere canzoni easy o brani surf commerciali. Mike è un musicista poco incline ai cambiamenti e alle sperimentazioni, e ha sempre cercato di limitare la creatività di Brian, arrivando anche a contestare apertamente in più occasioni.

Francesco Nunziata

Qual è la canzone che meglio incarna l’essenza dei primi Beach Boys, quelli legati, insomma, al sound e all’immaginario della surf-music? E qual è, invece, quella che meglio rappresenta il loro periodo, diciamo così, sperimentale?

Aldo Pedron

California Gurls è l’emblema della California: mare, spiagge, ragazze, estate, auto sportive, divertimento. Personalmente, amo Heroes and Villains, con i suoi fraseggi, i cambi di tempo, gli intrecci vocali, quei vocalizzi celestiali! La più bella in assoluto credo sia God Only Knows, ma l’essenza della sperimentazione è senza ombra di dubbio Good Vibrations.

Francesco Nunziata

Qual è il disco dei Beach Boys più sottovalutato e quale, invece, ritieni sia quello più sopravvalutato?

Aldo Pedron

Il più sottovalutato è Surf’s Up, che non è per niente surf! Non mi sembra ci siano album sopravvalutati. L’errore di base sta nel ritenere Pet Sounds l’unico disco importante dei Beach Boys!!!

Francesco Nunziata

Escludendo i Beach Boys, quali sono stati le band che più hanno segnato il tuo percorso di appassionato di musica?

Aldo Pedron

Potrei citarti un centinaio di band: Quicksilver Messenger Service, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Little Feat, Allman Brothers Band, Eric Burdon And The Animals, Creedence Clearwater Revival, gli Spirit di Randy California, The Byrds, Mama’s and Papa’s, i Big Brother and Holding Company con Janis Joplin, Commander Cody and His Lost Planet Airmen, gli Young Rascals, The Band, Canned Heat, Los Lobos, i Kaleidoscope di David Lindley e Chris Darrow, Asleep at the Wheel, Eagles, Crosby Stills Nash & Young, Buffalo Springfield, i Box Tops di Alex Chilton, Dan Hicks And His Hot Licks, i Subdudes e naturalmente gli inglesi… Beatles, Rolling Stones, Kinks, Who, i Traffic, Procol Harum e poi tantissimi artisti solisti: Louis Prima, Van Morrison, Ry Cooder, Taj Mahal, Garland Jeffreys, John Hiatt, John Cougar Mellencamp, Willy De Ville, Zachary Richard, David Bromberg, Joe Ely, Jimmy LaFave, Dr. John, Sam Cooke, Marvin Gaye, Otis Redding, Aretha Franklin, Etta James, Ben Vaughn, Link Wray, Chris Darrow, David Lindley, Tony Joe White, Willie Nelson, Elvis Presley, Al Kooper, Bob Seger, Bruce Springsteen, Chris Jagger (il fratello di Mick Jagger) e decine e decine di altri musicisti.

Francesco Nunziata

Qual è stata l’ultima volta che hai incontrato Brian Wilson? Come se la passa? Continua a fare musica, no?

Aldo Pedron

Ho incontrato Brian Wilson una decina di volte. L’ho intervistato a casa sua a Beverly Hills in California e visto lui o i Beach Boys un po’ ovunque. Attualmente, ha alcuni problemi fisici (è stato recentemente operato alla schiena), ma suona ancora molto dal vivo e magari l’anno prossimo avremo un nuovo album…

Francesco Nunziata

Come hai ricordato, sei stato tra i fondatori de «Il Mucchio Selvaggio» e anche direttore de «L’Ultimo Buscadero». Cosa ti hanno lasciato quelle esperienze? Com’è cambiata la figura del critico musicale durante gli anni?

Aldo Pedron

Quelle con «Il Mucchio Selvaggio» (dal 1977 al 1980) e «L’Ultimo Buscadero» (dal 1980 al 1992) sono state esperienze fondamentali e fanno parte della mia vita, certamente mi hanno lasciato molto. Tramite le due riviste, ho incontrato decine di musicisti, ho visto moltissimi concerti dal vivo, ho conosciuto diversi amici, collezionisti e giornalisti musicali. Scrivere su queste due riviste è stato importante e ha arricchito la mia conoscenza musicale. Ho sempre frequentato chi scrive su questi giornali: più che giornalisti, erano innanzitutto appassionati di musica, collezionisti e amanti della buona musica. Ora penso che tutto sia cambiato, perché sui siti web e sui giornali scrivono in tantissimi, e molti non sono qualificati, per cui è difficile districarsi.

Francesco Nunziata

Quali caratteristiche dovrebbe possedere un critico musicale per evitare di essere un semplice scribacchino che consiglia o stronca dischi?

Aldo Pedron

Beh, innanzitutto dovrebbe avere una conoscenza musicale approfondita. Non serve essere iscritto all’albo dei giornalisti, ma numerosi scribacchini sono troppo improvvisati. Ci vorrebbe una selezione, che andrebbe fatta proprio dai gestori dei vari siti o dai direttori delle riviste e giornali.

Francesco Nunziata

Chi è, oggi, Aldo Pedron e come vive l’attuale scena musicale?

Aldo Pedron

In mezzo a tanta spazzatura, trovo ancora molti dischi davvero belli. Faccio molta fatica a sentire la musica di adesso ed in effetti ascolto molto artisti o band del passato o che ci sono da molti anni. Ci sono album o Cd ancora interessanti, anche di alcuni artisti nuovi ed emergenti, anche se i miei gusti sono oramai delineati e difficilmente esco dal seminato. Sto sentendo alcuni dischi che mi piacciono molto di José James, Jon Batiste, Curtis Salgado, William Bell, Philipp Fankhauser, Mavis Staples, Betty Lavette, James Maddock, Boz Scaggs, Glen Hansard, Leon Bridges, Donna The Buffalo, Reese Wynans ed altri ancora…

Newsletter Hive

Iscriviti e resta sempre aggiornato su articoli, news ed eventi di Hive Music

Iscriviti