Claudio Poggi: scopritore di Pino Daniele e produttore del suo primo disco
Intro

Claudio Poggi non è un personaggio qualunque. Fu, infatti, il primo (lui che, all’epoca, era ancora un “semplice” critico musicale) a credere nel talento di Pino Daniele, segnalandolo alla Emi italiana e producendo, quindi, Terra mia, storico disco d’esordio del compianto cantautore napoletano uscito nel 1977. Quel periodo aurorale è stato raccontato dallo stesso Poggi, coadiuvato da Daniele Sanzone, in Pino Daniele. Terra mia, volume edito dalla Minimum Fax. Un racconto ricco di aneddoti e carico di affetto nei confronti di uno degli artisti più amati della musica italiana.

Di seguito, la nostra intervista.

Francesco Nunziata

Claudio, vuoi raccontarci come conoscesti Pino Daniele?

Claudio Poggi

Lo conobbi nel 1976, perché lavoravo come giornalista per un settimanale, «Super Sound», e andavo alla ricerca di artisti e gruppi che suonavano una musica diversa, quella che noi giovani apprezzavamo perché proveniente dall’estero e lontana dagli stereotipi melensi del pop italiano. Pinotto [questo il soprannome di Pino, ndr] suonava in un gruppo, i Batracomiomachia, in cui militavano Rosario Iermano alla batteria, Paolo Raffone al piano, Rino Zurzolo al basso, Enzo Ciervo alla voce, Gianni Battelli al violino e Enzo Avitabile al sax e flauto.

Francesco Nunziata

I suoi primi brani che ascoltasti furono ‘Che Calore!’, ‘Furtunato’, ‘Terra Mia’ e ‘Libertà’. Che cosa c’era, in loro, che ti colpì particolarmente?

Claudio Poggi

Soprattutto quel modo nuovo di comporre, che abbinava un linguaggio napoletano moderno, di strada, ma allo stesso tempo popolare, con una musicalità molto vicina a quella dei nostri idoli stranieri. “Libertà”, uno dei miei brani preferiti, mi dava l’idea di un pezzo West Coast, con quelle chitarre acustiche che sfociavano in quel riff di chitarre elettriche e un testo che ancora adesso considero come uno dei suoi più belli.

Francesco Nunziata

All’epoca, prima di conoscere Pino, ti occupavi di critica musicale. Qual era la situazione, a livello di musica pop e rock, a Napoli?

Claudio Poggi

In quel periodo storico, c’era una netta distinzione tra musica pop e la cosiddetta avanguardia, non esisteva la trasversalità che c’è oggi, dove i giovani ascoltano e seguono sia Ramazzotti che i Litfiba: eravamo più integralisti, forse più coerenti. Per cui, i gruppi e i cantautori, influenzati dai grandi miti internazionali, cercavano di imparare la tecnica musicale e svilupparla anche con un nuovo linguaggio. Era straordinario vedere quanti fermenti e movimenti nascevano e si diffondevano nei vari generi, dal popolare, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, al jazz rock, con i Napoli Centrale, al rock, con gli Osanna, e al cantautorato di livello con il grande Edoardo Bennato. Insomma, c’era di che divertirsi e tutto questo aveva una corrispondenza con la lotta di classe, l’abbattimento di barriere sociali e dei luoghi comuni che avevamo voglia di superare. Inoltre, all’epoca iniziarono ad arrivare i primi artisti internazionali in Italia, il che ci fece capire cosa fosse la vera musica. Purtroppo, oggi vedo che “Se bruciasse la città” o “Rose rosse per te” sono più che mai due successi apprezzati, sia dai giovani che da quelli della mia generazione, e non riesco a capirne il motivo, ovviamente senza nulla togliere al professionismo di un artista come Massimo Ranieri.

Francesco Nunziata

Come valutasti all’epoca e come valuti oggi il movimento del cosiddetto Neapolitan Power? Perché proprio in quella determinata fase storica si sviluppò un tale movimento musicale?

Claudio Poggi

Il Neapolitan Power o meglio il Naples Power era uno slogan che aveva dei padri putativi come Raffaele Cascone e Renato Marengo, intellettuali, giornalisti e conduttori radiofonici che battezzarono quest’onda musicale progressista che, giorno dopo giorno, diventava un ciclone e invadeva il paese, dimostrando che Napoli non era oleografica, ma una città piena di energia e che presto sarebbe esplosa sia socialmente che musicalmente. Non poteva essere altrimenti e non in un periodo differente, perché i giovani avvertivano il bisogno di sdoganare la propria appartenenza al Vesuvio, al mare e alla pizza, cercando di dare un aspetto più vero, forte, incazzato ma soprattutto reale. Del resto, si iniziava a viaggiare, a confrontarsi con altre culture e a capire quanto questa appartenenza a Napoli fosse importante e ricca di significati. Oggi, invece, non credo si possa parlare di Naples Power, ma di un movimento sano, anche se meno incazzato e motivato, che vuole riprendere quell’energia, magari proprio ripartendo dalla lezione di Pino, per trasformarla in qualcosa di significativo. Purtroppo, però, manca, a mio parere, la motivazione sociale.

Francesco Nunziata

A tuo avviso, Pino Daniele fu influenzato anche dalla ricerca che, con il supporto di Roberto De Simone, la Nuova Compagnia di Canto Popolare attuò sul corpus della musica popolare?

Claudio Poggi

Senz’altro! Pino, all’inizio, fu non solo influenzato, ma fortemente attratto dalla musica popolare e da un maestro come Roberto De Simone. Infatti, iniziò a studiare con grande passione la tecnica del mandolino sui libri e gli spartiti del maestro Anepeta. Ma la sua grande capacità fu quella di adattare uno strumento strano e difficile come il mandolino su ritmi funky e blues, addirittura creando delle vere sezioni che dovevano sostituire i fiati.

Francesco Nunziata

Quali erano i pregi e i difetti dell’uomo Pino Daniele?

Claudio Poggi

Ti dirò: ho un certo pudore a parlare dell’uomo Pino Daniele, o meglio di Pinotto, perché è qualcosa che mi appartiene nel profondo. Solo il mio “fratellino” Daniele Sanzone è riuscito, nel nostro libro Pino Daniele. Terra Mia, a scavare, non senza difficoltà, nei miei ricordi. Tant’è che, più volte, ci è capitato di litigare, perché la sua sacrosanta curiosità cozzava con la mia discrezione. Quello che posso dire è che Pinotto era un ragazzo come tanti, con pregi e difetti, ma con una capacità e una convinzione incredibile nel voler raggiungere il suo obiettivo: suonare.

Francesco Nunziata

Cosa ha ancora da dire, oggi, un disco come Terra mia?

Claudio Poggi

Terra mia, oggi più che mai, è un disco di riferimento del percorso musicale di Pino Daniele, perché in esso s’intravedevano già temi e generi che egli avrebbe poi sviluppato in modo straordinario negli album successivi: la musica popolare, il blues, la canzone d’autore, il funky, ma anche quel linguaggio poetico che, anche se in seguito egli avrebbe raffinato, in quel disco si attestava già su livelli straordinari.

Francesco Nunziata

Nel tuo libro, a un certo punto citi alcune parole di Pino relative al razzismo:
«Noi siamo come i negri. Il razzismo c’è, lo vivo, l’ho vissuto e sono convinto che c’è?»
Anche Pino, insomma, dovette scontrarsi con i soliti pregiudizi contro i “terroni”?

Claudio Poggi

Si avvertiva all’epoca, e talvolta anche adesso, un certo razzismo (anche se mascherato da sorrisi di circostanza) verso chi vuole imporre la propria cultura e il proprio linguaggio. Queste cose le avvertivamo, qualche volte ci incazzavamo, altre volte cercavamo noi di prendere in giro loro. Sta di fatto che, quando vuoi comunicare delle cose importanti, ti dà fastidio essere preso in giro o sopportare battutine che sviliscono quello che stai dicendo

Francesco Nunziata

Come mai, poco prima dell’uscita del suo secondo disco, le vostre strade si separarono?

Claudio Poggi

Il nostro rapporto umano non si è mai incrinato. Ci furono solo delle discussioni che portarono alla nostra separazione, perché io non fui in grado di far fare a Pino quel salto di notorietà di cui aveva bisogno.

Francesco Nunziata

Come giudichi il percorso musicale di Pino a partire dall’omonimo lavoro del 1979? Se tu dovessi indicare solo cinque dischi da consigliare a chi non ha mai ascoltato una sua nota, quali sceglieresti… e perché?

Claudio Poggi

Il suo percorso musicale fino a Vai mo’ (1981) è stato sempre di grandissima qualità. A mio modo di vedere, e senza nulla togliere ai lavori che seguirono, i primi suoi cinque album sono eccezionali e riescono ad inquadrare perfettamente l’Artista Pino Daniele in tutta la sua integrità. Tuttavia, ci sono canzoni come “Quando” (1991) che sono delle perle rare. Ma credo che per instillare nelle vene la “malattia” di Pino bastino quei i primi cinque album: Terra mia (1977), Pino Daniele (1979), Nero a metà (1980), Vai mo’ (1981), Bella ‘mbriana (1982).

Francesco Nunziata

Prima della sua morte, qual è la stata l’ultima volta che lo hai incontrato?

Claudio Poggi

Rispondere a questa domanda mi apre una ferita: ci incontrammo a Napoli, alla fine di dicembre del 2013, all’epoca del mini tour Napule è – Tutta n’ata storia. Non parlammo molto, non ne avevamo bisogno: c’era complicità negli sguardi e nelle poche parole che scambiammo. Come al solito, chiese di mia madre, ma all’epoca purtroppo già non c’era più. Non ci fu possibilità di ricordare i vecchi tempi, perché c’erano tanti amici e musicisti intorno a noi.

Francesco Nunziata

Nonostante tutti i suoi problemi, Napoli continua a essere una città musicalmente attiva. Tuttavia, la Napoli del 2018 non è la Napoli del 1977. Quali, a tuo avviso, le differenze più evidenti?

Claudio Poggi

A mio parere, la Napoli di oggi è più matura, più cosciente delle sue potenzialità e più internazionale. Per quanto riguarda i lati negativi, l’ignoranza la rende più violenta, meno umana e più spietata. Ma io voglio continuare a credere che Napoli sia una città dal cuore grande e dall’enorme creatività.

Francesco Nunziata

Cosa fa, oggi, Claudio Poggi?

Claudio Poggi

Oggi Claudio Poggi è un editore musicale, un produttore, ma soprattutto – come e forse più di 41 anni fa – uno che ha voglia di scoprire e di valorizzare talenti e nuovi personaggi che siano in grado di rendere grande la Napoli musicale.

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