Elvis Presley

Primo grande eroe bianco del rock’n’roll, Elvis Presley, nato nel 1935 a Tupelo, Mississippi, divenne, soprattutto dopo la sua morte nel 1977, un vero e proprio mito, adorato da torme di fan in tutto il mondo. Pur non avendo avuto lo stesso peso di Chuck Berry o di Bo Diddley (musicisti che segnarono profondamente la sintassi del rock’n’roll), Elvis, che non era un autore di canzoni, ma solo un ottimo interprete, ebbe comunque il merito, grazie alla sua enorme fama, di trasformare quella musica così selvaggia ed eccitante in un fenomeno di massa.

Cresciuto in una famiglia povera, fin da ragazzo Elvis si lasciò ammaliare dalla musica country e da quella gospel, vincendo il suo primo concorso come cantante all’età di dieci anni. Un anno dopo, ricevette in regalo dai suoi genitori una chitarra, strumento che prese a suonare senza sosta mentre ascoltava i grandi bluesman e gli eroi del rhythm and blues. A tredici anni, insieme alla famiglia lasciò la città natale per trasferirsi a Memphis.

Fu qui che conobbe Sam Phillips, un tecnico del suono che, dopo aver lavorato in radio, aveva deciso di mettere su un’etichetta discografica, la Sun Records, con la quale offriva un servizio di registrazione a buon mercato: bastavano soli due dollari e chiunque poteva mettere su disco un brano. Fu così che, nell’estate del 1953, anche il giovane Presley pensò che fosse arrivato il momento di provare a registrare qualcosa. Phillips capì che quel ragazzo aveva talento e gli affiancò il chitarrista Scotty Moore e il contrabbassista Bill Black.

Nel 1954, Elvis (armato di voce e chitarra) incise il suo primo singolo, contenente sul lato A un brano di Arthur “Big Boy” Crudup (“That’s All Right (Mama)”) e sul retro il famoso bluegrass di Bill Monroe, “Blue Moon Of Kentucky”. Il trio mostrava ancora un forte retaggio country & western, con Elvis che con la chitarra ricamava semplici ma intriganti passaggi ritmici, mentre con la voce (trattata con l’eco da Phillips) ripercorreva con entusiasmo le orme di Crudup. Secondo numerosi critici, tra cui Max Décharné, con quel singolo Elvis e i suoi sodali definirono il «prototipo per l’esplosione mondiale del rock dei Cinquanta, definendo inoltre per sempre il puro e semplice rockabilly», un genere che aveva iniziato a maturare, come abbiamo già rilevato altrove, agli inizi di quel decennio, ma che solo con Elvis fece irruzione nelle sale da ballo di tutta l’America, finendo, poi, per contaminare anche il resto del mondo.

Il successo del singolo portò Elvis e i suoi due sodali a esibirsi dal vivo, spostandosi fino al Texas e al Mississippi. Altri singoli (tra cui “Good Rockin’ Tonight”, “Mystery Train”, “Baby Let’s Play House” e “Milk Cow Blues Boogie”) ne confermarono, di lì a poco, il successo. Alla fine del 1955, stuzzicato dall’energia di quel ragazzone col ciuffo, Tom Parker, un ex colonnello dell’esercito americano il cui vero nome (dati i suoi natali in terra olandese) era Andreas Cornelis van Kuijk, scaltro manager e impresario teatrale, convinse la RCA a rilevare il contratto di Elvis per l’allora incredibile cifra di quaranta mila dollari!

Dopo aver firmato per la nuova etichetta discografica, sotto la guida del nuovo manager Elvis registrò, nel gennaio del 1956, “Heartbreak Hotel”, considerato il suo primo frutto musicale davvero maturo, che mostrava, tra le altre cose, anche una sua decisa crescita vocale. Fatto l’esordio anche in TV durante quello stesso mese (si esibì allo “Stage Show” di Tommy e Jimmy Dorsey), Elvis si ritrovò, quindi, in cima alle classifiche nazionali. Altre apparizioni televisive consolidarono quel successo, mandando su tutte le furie i benpensanti, che mal sopportavano quel ragazzone che, mentre cantava, muoveva a scatti il bacino (fu soprannominato, non a caso, “Elvis The Pelvis”) e le gambe, dando l’impressione di simulare l’atto sessuale.

I giovani, invece, lo adorarono all’istante. Elvis incarnava, come scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo, «il colore della nuova energia giovanile, la pulsione erotica che scuoteva l’allora dominante senso del pudore, le avvisaglie di cambiamento che annunciano il passaggio alla modernità e la potente trasformazione in atto del mondo occidentale.» Il successo continuò a crescere, grazie alla pubblicazione di altri singoli, tra cui si ricordano “Hound Dog”, “Blue Suede Shoes” (lanciata da Carl Perkins), “I Want You, I Need You, I Love You” , “Don’t Be Cruel”, “Love Me Tender”, “All Shock Up” e, soprattutto, “Jailhouse Rock”, un brano in cui, come scrive Stefano Bonagura, «la sezione ritmica (basso e batteria) ha un volume notevole, un risalto che nei brani precedenti non aveva mai avuto» e in cui «la chitarra elettrica con le corde “stoppate” sostiene ritmicamente tutte le frasi, mentre il pianoforte è di supporto ritmico».

Nel marzo del 1956, intanto, era uscito il suo primo album, chiamato semplicemente con il suo nome. In quei solchi, si alternavano numeri rock’n’roll (“Blue Suede Shoes”, “I Goat A Woman”, “Tutti Frutti”) ad altri più lenti o languidi (“Blue Moon”, “I’ll Never Let You Go (Li’l Darlin’)”, “I Love You Because”), ma nel complesso il disco non possedeva lo stesso impatto dei suoi singoli più trascinanti. Nell’ottobre di quello stesso anno uscì anche Elvis, disco ancora altalenante ma comunque capace di vendere milioni di dischi.

Un mese dopo, Elvis fece invece il suo esordio nel mondo del cinema, recitando nel film Love Me Tender, il cui brano omonimo – pezzo forte della colonna sonora, con la sua ammaliante melodia – diventò disco d’oro ancor prima di finire sugli scaffali dei negozi, grazie ad un milione di prenotazioni.

Cercando di sfruttare in tutti i modi la gallina dalle uova d’oro, il colonnello Parker pensò bene di costruire intorno all’immagine del suo assistito tutta una serie di gadget, da vendere ai fan (soprattutto quelle di sesso femminile) che impazzivano letteralmente quando ascoltavano un suo brano o quando lo vedevano sul grande schermo dei cinema o su quello, piccolo, delle tv, come accadde il 9 settembre del 1956 quando, dinanzi a sessanta milioni di telespettatori, Elvis si esibì all’Ed Sullivan Show. In quell’occasione, le telecamere, per non mostrare le movenze del suo bacino, lo ripresero solo dalla cintola in su! Questo perché, come aveva scritto qualche mese prima la rivista Time: «Nei momenti in cui si lancia in una delle sue specialità – “Heartbreak Hotel”, “Blue Suede Shoes” o “Long Tall Sally” (…) i suoi movimenti suggeriscono, in una parola, sesso.»

Alla fine del 1957, Parker volle che Elvis registrasse un disco natalizio, Elvis’ Christmas Album, contenente reinterpretazioni dei classici melodici della festività cristiana. I fan, ovviamente, gradirono e continuarono a venerare il loro idolo anche nei due lunghi anni (1958-1960) durante i quali egli fu costretto a prestare il servizio militare nell’allora Germania Ovest. Fu durante quel periodo che Elvis, oltre a fare la conoscenza della futura moglie Priscilla Beaulieu (la figlia adottiva di un ufficiale dell’esercito), cadde nel tranello delle anfetamine, sostanze che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua vita.

Intanto negli Stati Uniti, la RCA fece uscire alcuni singoli già incisi (“Don’t”, “One Night”, “I Got Stung” e “A Big Hunk Of Love”), ricevendo ancora una volta grandi riscontri di vendite. Nell’aprile del 1960, Elvis, di nuovo in pista, registrò il singolo “Stuck On You”, accompagnato, sul lato B, da “Fame And Fortune”. Se il primo brano possedeva ancora un’anima rock’n’roll, il secondo, con le sue movenze da ballata sentimentale, lasciava presagire, invece, la nuova direzione verso cui si stava muovendo la sua musica. Una direzione confermata, di lì a qualche mese, da brani quali “It’s Now Or Never”, “Surrender” (riletture, rispettivamente, dei classici della canzone napoletana “’O Sole Mio” e “Torna A Surriento”) e “Are You Lonesome Tonight”. La sua carriera, intanto, proseguiva tra la partecipazione ad altri film e nuovi dischi più o meno interessanti, tra cui uno His Hand In Mine in cui poté mettere a frutto la sua vecchia passione per la musica gospel.

A partire dal 1961, Elvis smise di esibirsi dal vivo, concentrandosi sulla sua carriera di attore tornò sulle scene con “Elvis ’68: Comeback Special”, uno speciale trasmesso dalla NBC. Quello che era stato definito, un po’ troppo enfaticamente, come “The King of Rock and Roll”, era ancora vivo e con From Elvis To Memphis, disco uscito nel 1969, mostrò una sincera volontà di ridonarsi al suo pubblico.

Purtroppo, però, quello fu anche il momento in cui iniziò la sua lenta trasformazione nella parodia di se stesso, appesantito, com’era, da una dieta fuori controllo e oltremodo debilitato dall’uso di droghe. Eppure, nonostante tutti i limiti qualitativi della musica da lui prodotta durante gli anni Settanta, il suo personaggio continuò l’escalation verso il mito. Un mito che raggiungerà vette iperuraniche subito dopo la sua morte, avvenuta a Memphis il 16 agosto del 1977 per attacco cardiaco.

“Se ti piace la musica rock’n’roll, se la senti, non puoi fare a meno di muoverti. Questo è quello che mi successe. Non posso farci niente.”

Discografia Consigliata

Elvis Presley (1956)
From Elvis in Memphis (1969)
The Complete Sun Sessions (1987)
The King of Rock ‘n’ Roll: The Complete 50’s Masters (box antologico, 1992)

Newsletter Hive

Iscriviti e resta sempre aggiornato su articoli, news ed eventi di Hive Music

Iscriviti